Continuano le sentenze che limitano il diritto del contribuente alla revisione in autotutela di atti illegittimi e/o infondati. Con qualche dubbio di di principio in relazione a una corretta applicazione dell’art. 10 dello Statuto del contribuente e del principio di buona fede in esso affermato, degli articoli 23 e 97 della Costituzione che dovrebbero assicurare una tassazione conforme alla legge ed un esame imparziale delle ragioni del contribuente.
Dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del luglio scorso che ha ribadito (con un vero e proprio trattato di diritto amministrativo, ma con assai minore attenzione sugli aspetti tributari dell’istituto) la discrezionalità del “potere” di autotutela, continuano le pronunce di legittimità che considerano non impugnabile presso gli organi della giurisdizione tributaria il diniego di autotutela.
Conforme a questo orientamento è l’Ordinanza della sezione Tributaria del 24 ottobre n. 28069 (Pres. Cappabianca, Rel. Iannello).
Secondo la Corte occorre “…ribadire il principio affermato da Cass., Sez. U, 16/02/2009, n. 3698, secondo il quale in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’ art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, sia per la discrezionalità da cui l’attività di autotutela è connotata in questo caso, sia perché, altrimenti, si darebbe ingresso ad una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo”.