Con ordinanza n. 8182 del 27 aprile 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Manzon, Rel. Catallozzi) torna ad esprimersi sulla questione del riconoscimento della qualità di ente non commerciale in merito ad una controversia sorta tra un’associazione sportiva dilettantistica e l’Agenzia delle Entrate.
Come ricordato dalla Corte è opportuno operare una distinzione tra ciò che riguarda l’individuazione della qualità dell’ente e ciò che, invece, attiene alla qualificazione delle attività poste in essere dall’ente, ai fini fiscali (quali commerciali o non commerciali).
Per quanto attiene al riconoscimento della qualifica di ente non commerciale è necessario fare riferimento all’art. 73 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) il quale, nell’annoverare tra i soggetti passivi ires (anche) gli enti non societari, opera una distinzione tra enti commerciali e enti non commerciali in relazione al fatto che abbiano o meno “per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”. In presenza di un ente non commerciale troverà dunque applicazione il regime di favore previsto dall’art. 143 dello stesso TUIR in base al quale non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.
Diversamente l’art. 148 comma terzo del TUIR prevede una decommercializzazione specifica per alcune categorie di associazioni (tra le quali, come nel caso di specie, le associazioni sportive dilettantistiche) estendendo il regime agevolativo alle “attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti” a condizione che tali associazioni si conformino, attraverso espresso inserimento nei relativi atti costitutivi o statuti, alle clausole previste dal comma ottavo dello stesso articolo. Come precisato nell’occasione dalla Corte, tuttavia, quanto disposto dal menzionato art. 148, sebbene possa ostare alla qualifica delle attività svolte quali attività non commerciali, non è tale da inficiare sul riconoscimento o meno della qualità di ente non commerciale.
Nel caso specifico, con avvisi di accertamento emessi con riferimento ai periodi di imposta dal 2003 al 2007 l’Ufficio, contestando che una associazione sportiva dilettantistica avesse operato quale ente commerciale, aveva recuperato le imposte non versate. Sia la sentenza di primo grado che la sentenza di appello avevano però disatteso il gravame erariale; in particolare il giudice di secondo grado aveva ritenuto come l’associazione avesse offerto prova sufficiente del fatto che l’attività esercitata non avesse natura commerciale. Avverso tale decisione l’Agenzia ricorreva dunque in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 148 e 149, T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, e 4, quarto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per avere la sentenza impugnata riconosciuto il trattamento fiscale agevolato previsto da tali norme per le attività commerciali svolte dalle associazioni sportive dilettantistiche in ragione dell’appartenenza dell’Associazione alla Federazione Italiana Nuoto e al C.O.N.I, nonché della partecipazione dei suoi atleti a gare ufficiali.
Il Giudice Supremo respingendo il ricorso proposto dall’Ufficio ha pertanto sottolineato come nel caso di specie “la questione prospettata dall’Amministrazione può assumere rilevanza ai fini dell’esclusione dell’applicazione della richiamata norma agevolativa di cui all’art. 148, terzo comma, d.P.R. n. 917 del 1986, ostando alla qualifica delle attività svolte dall’ente quali attività non commerciali, ma non anche del contestato mancato riconoscimento della qualità di ente non commerciale dell’Associazione, la quale richiede che l’attività dell’ente abbia avuto per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.