La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, affronta nella sentenza 19 luglio 2017 n. 17778 (Pres. Tirelli, Rel. Pezzullo) il caso di una sentenza di appello in cui la C.T.R., pur in assenza di appello incidentale dell’ufficio finanziario parzialmente soccombente, ha applicato una percentuale di ricarico più alta di quella decisa in primo grado e pari a quella originariamente indicata nell’avviso di accertamento.
Con ciò si era determinato, di fatto, un imponibile maggiore rispetto a quello deciso dal giudice di prime cure e quindi una “reformatio in peius” della sentenza della CTP da parte del giudice di appello.
Secondo la Corte il divieto di “reformatio in peius” costituisce conseguenza delle norme, dettate dagli artt. 329 e 342 cod. proc. civ., in tema di effetto devolutivo dell’impugnazione di merito ed in tema di acquiescenza, che presiedono alla formazione del “thema decidendum” in appello, per cui, una volta stabilito il “quantum devolutum”, (Sez. 2, n. 25244 del 08/11/2013) in assenza d’impugnazione della parte parzialmente vittoriosa (appello o ricorso incidentale), la decisione non può essere più sfavorevole all’impugnante e più favorevole alla controparte di quanto non sia stata la sentenza impugnata (Sez. 1, n. 14127 del 27/06/2011).
Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata ha prodotto, secondo la quinta sezione, proprio tale effetto, a seguito della riforma “di ufficio” della sentenza del primo giudice, che aveva ridotto la percentuale di ricarico, con la conseguente conferma dell’avviso di accertamento impugnato, pur in assenza di appello incidentale dell’Ufficio.
Essa va pertanto cassata con rinvio alla C.T.R. .