La questione che oggi poniamo all’attenzione dei nostri lettori parte da una sentenza della Sezione Tributaria favorevole all’Agenzia delle Entrate. Sentenza che tuttavia ha il pregio di enunciare dei principi di garanzia che sono tutt’altro che sfavorevoli al contribuente. Nel caso specifico è stata censurata dalla Corte, con argomentazioni condivisibili, la motivazione della sentenza di appello che non ha colto nel segno.
Parliamo della Sentenza 14 novembre 2018, n. 29290 della V Sezione della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Putaturo).
La problematica riguarda una contestazione del costo dedotto sulla base di fatture senza il contenuto di cui all’articolo 21 del decreto IVA.
Secondo la Corte nel caso di esistenza di regolare fattura deve ritenersi operante la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, con conseguente onere dell’Agenzia di fornire prova dell’indeducibilità, per non inerenza, del costo (cfr. Cass. n. 7881 del 2016; n. 21446 del 2014, n. 24426 del 2013, n. 5748 del 2010). Ciò sempre che, come reiteratamente affermato nella giurisprudenza della Corte stessa (Cass. n. 21980 del 2015, n. 21446 del 2014, n. 24426 del 2013, n. 9108 del 2012, n. 5748 del 2010), sia in tema di imposizione diretta che in tema di Iva, la fattura sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (v. anche art. 226 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006).
Già in passato la Suprema Corte ha stabilito che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018).
In tema di Iva, la Corte di giustizia (con sentenza 15 settembre 2016, causa C-516/14, Barlis 06 – Investimentos Imobiliàrios e Turísticos SA c. Autoridade Tribudria e Aduaneira), seguita dalla giurisprudenza interna (Cass. 6 ottobre 2017, n. 23384, n. 10211 e n. 13882 del 2018), nell’esaminare le condizioni formali di esercizio del diritto di detrazione dell’imposta, ha considerato che la normativa unionale prescrive l’obbligatorietà dell’indicazione dell’entità e della natura dei servizi forniti (art. 226, punto 6 della direttiva n. 2006/112, di contenuto analogo all’omologa norma della sesta direttiva), nonché della specificazione della data (art. 226, punto 7) in cui è effettuata o ultimata la prestazione di servizi; ciò al fine di consentire alle amministrazioni finanziarie di controllare l’assolvimento dell’imposta dovuta e, se del caso, la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva. Senz’altro, ha aggiunto la Corte, l’amministrazione finanziaria non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dall’art. 219 della direttiva 2006/112, che assimila a una fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferimento in modo specifico e inequivocabile alla fattura iniziale. Incombe, tuttavia, su colui che chiede la detrazione dell’Iva l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, per conseguenza, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta.
Quindi se i requisiti di legge della fattura non sono soddisfatti, sarà il contribuente a dover provare la sussistenza del diritto a dedurre il costo e a detrarre l’IVA. Ma lo potrà fare con qualunque mezzo idoneo a completare le indicazioni (evidentemente insufficienti) presenti in fattura.
Nella specie, per la Corte, la CTR non si è conformato ai suddetti principi in quanto, a fronte della contestazione dell’Ufficio circa i requisiti di contenuto delle fatture in questione (quanto alla mancata indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto delle singole operazioni ed, in particolare, della quantificazione dei lavori di facchinaggio-movimentazione della merce, dell’entità, modalità di espletamento e durata delle attività di procacciamento di affari, di promozione vendite etc., dei servizi di consulenza nonché della natura delle spese di rappresentanza), ha, senza invertire l’onere probatorio a carico della società contribuente, ritenuto sussistenti i requisiti per la deducibilità dei costi, in base alla mera regolarità formale della documentazione contabile, desumendo da ciò la prova della effettività, congruità, inerenza dei medesimi.