Con ordinanza n. 15741 del 7 giugno 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Stalla, Rel. Russo) ha fornito interessanti chiarimenti in merito all’opponibilità dei beni costituenti un fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) all’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del D.P.R. 602/1973 per obbligazioni tributarie contratte nell’esercizio di impresa o dell’attività professionale nell’ipotesi in cui il contribuente che abbia una pluralità di fonti di reddito e, in particolare, una pluralità di partecipazioni societarie .
Nei fatti un contribuente (socio di una s.a.s. e di una s.r.l.) opponeva la comunicazione di iscrizione ipotecaria per i debiti su redditi da partecipazione nella s.r.l. deducendo come l’ipoteca stessa fosse stata iscritta su beni compresi in un fondo patrimoniale costituito nel 1995. La CTR respingeva il ricorso. La CTR della Puglia accoglieva l’appello ritenendo che per i debiti tributari, inerenti l’attività di impresa cui il contribuente partecipava quale mero socio di capitale, non si potesse procedere ad esecuzione forzata sui beni facenti parte del fondo patrimoniale, di cui il contribuente aveva provato la costituzione, trattandosi di obbligazioni estranee ai bisogni della famiglia. L’Agente della Riscossione proponeva dunque ricorso per Cassazione adducendo di non poter conoscere l’estraneità dei debiti contratti alle esigenze della famiglia e che fosse onere del contribuente provare tale circostanza.
La Corte ha ricordato come il fondo patrimoniale costituito ex art 167 c.c. impone un vincolo di destinazione su determinati beni, per far fronte ai bisogni della famiglia, con la conseguenza, in ragione di quanto dispone l’art 170 c.c., che “la esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere, stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”. Allo stesso tempo è andato consolidandosi il principio di diritto, in tema di riscossione coattiva delle imposte, per cui l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602 del 1973 è “ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., anche per le obbligazioni tributarie, se strumentali, ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità ai bisogni della famiglia” (cfr. Cass. n. 23876/2015).
Come ribadito dai Giudici di Legittimità, dunque, qualora sorga controversia sulla assoggettabilità dei beni ad esecuzione forzata deve, pertanto, accertarsi in fatto se il debito si possa dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni) e, in particolare, qualora si tratti di obbligazioni tributarie gravanti sui redditi, se il reddito in questione è destinato alla soddisfazione dei bisogni familiari.
In tal senso, con l’ordinanza in questione la Corte ha ritenuto importante precisare cosa si debba intendere per bisogni familiari e come debbano individuarsi le risorse economiche ad essi destinate. Fornire del resto un’interpretazione lata della locuzione “bisogni della famiglia”, facendovi rientrare ogni vincolo obbligatorio idoneo a determinare un arricchimento indiretto del nucleo familiare, la prova della consapevolezza in capo al creditore dell’estraneità del debito per cui si procede a quelli contratti per il soddisfacimento di tali bisogni risulterebbe non soltanto estraneamente difficile, ma anche inutile.
In altri termini, come ricordato dai Giudici nell’occasione, i bisogni familiari non possono intendersi come potenzialmente assorbenti tutti i redditi del soggetto obbligato: deve invece considerarsi che non sussiste un dovere generalizzato dei coniugi di destinare tutti proventi della propria attività lavorativa (o i redditi da capitale) ai bisogni della famiglia; ciascun coniuge percettore di reddito ha infatti, rispetto ai proventi, un potere di godimento, amministrazione e disposizione pieno, salvo il limite di contribuire ai bisogni della famiglia. Dunque i bisogni della famiglia devono intendersi non solo in senso oggettivo, né come potenzialmente assorbenti l’intero reddito dei coniugi, ma anche come “quei bisogni che sono ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari” (cfr. Cass. 5017/2020).
La Corte, con particolare riferimento ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa del coniuge ha pertanto riaffermato che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano “inerenza diretta ed immediata con i predetti bisogni” (cfr. Cass 16176/2018). È pertanto necessario l’accertamento da parte del giudice di merito della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito e i bisogni della famiglia avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto.
Diversamente “opinando ogni esercizio di attività di impresa (e non solo) verrebbe per ciò stesso intrapresa e svolta per esigenze della famiglia e non potrebbero sussistere attività che non siano destinate a soddisfare i bisogni della famiglia stessa”, così rendendo “solo virtuale peraltro la possibilità della probatio diabolica della conoscenza da parte del creditore che il debito fosse contrailo per scopi estranei ai bisogni della famiglia” (cfr. Cass. 12998/20).
I Giudici di Legittimità, sulla base di questi principi, hanno quindi ricordato come debba ritenersi consentito al contribuente che abbia una pluralità di fonti di reddito e, in particolare, una pluralità di partecipazioni societarie, di provare, anche per presunzioni semplici, e al fine di contrastare l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale, la diversa natura di ciascuna partecipazione e la destinazione dei relativi proventi, così da accertare se l’obbligazione tributaria grava su un reddito destinato al mantenimento della famiglia, o se si tratti di interessi speculativi con finalità di lucro personale ovvero di spese personali anche voluttuarie, o anche di proventi destinati alla soddisfazione di altri interessi e all’assolvimento di altri obblighi.
Respinto il ricorso l’Agenzia ha dunque evidenziato come la CTR correttamente avesse ritenuto che gli elementi addotti dal contribuente fossero sufficienti a dimostrare non solo l’esistenza e l’opponibilità del fondo, ma anche che nello specifico i redditi destinati al mantenimento della famiglia fossero quelli del lavoro svolto nella s.a.s. e non quelli derivanti dalla srl gravata dei debiti tributari.