Gli studi di settore passano il vaglio della Corte UE. Ma con parecchie garanzie.

La Corte di Giustizia UE decide sulla questione relativa agli studi di settore, sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria e relativamente alla quale avevamo qualche mese fa riportato le conclusioni dell’Avvocato Generale.

La sentenza è quella della Quarta Sezione del 21 novembre 2018 (causa C‑648/16).

Le conclusioni sono quelle per cui il meccanismo di accertamento fondato sugli “studi” non confligge con le regole eurounitarie (evidentemente con riferimento all’IVA). Tuttavia, secondo la Corte UE, tale normativa nazionale e l’applicazione che ne viene fatta possono essere conformi al diritto dell’Unione solamente a condizione di rispettare i principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità.

In relazione in particolare al principio di proporzionalità viene affermato che “tale principio non osta a che una normativa nazionale preveda che solamente a fronte di rilevanti divergenze tra l’importo del volume d’affari dichiarato dal contribuente e quello determinato in base al metodo induttivo, sulla scorta del volume d’affari realizzato da soggetti esercenti la stessa attività del contribuente, possa avviarsi il procedimento di rettifica fiscale”.  Da sottolineare ci pare l’espressione “rilevanti divergenze” che si sovrappone e si completa con il riferimento alle “gravi incongruenze” del diritto interno. Pare assodato quindi che scostamenti non rilevanti non legittimino i recuperi fondati sugli “studi”.

Per la Corte poi “gli studi di settore utilizzati ai fini della determinazione induttiva del volume d’affari devono essere esatti, affidabili ed aggiornati”. Espressioni evidentemente troppo generiche per rappresentare vincoli per l’amministrazione e riferimenti per il Giudice, che avrà come in passato un ampio potere discrezionale.

Confermato che si tratta di presunzioni relative, confutabili dal contribuente mediante prova contraria. Ma da quasi un decennio le Sezioni Unite ci hanno detto la stessa cosa, aggiungendo che le presunzioni sono semplici e neppure dotate dei requisiti di gravità precisione e concordanza.

Non manca il riferimento all’articolo 41 della Carta di Nizza. Si afferma che “Il diritto di difesa del soggetto passivo dev’essere garantito durante tutto il corso del procedimento di rettifica fiscale, il che implica, in particolare, che ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo per il medesimo, questi dev’essere posto in condizione di manifestare utilmente il proprio punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intenda fondare la propria decisione (sentenza del 3 luglio 2014, Kamino International Logistics e Datema Hellmann Worldwide Logistics, C‑129/13 e C‑130/13, EU:C:2014:2041, punto 30)”. Vengono così a convergere sugli studi sia l’obbligo del contraddittorio precipuo (quello che le Sezioni Unite del 2015 definirono “ontologico”) sia quello di derivazione eurounitaria (che, sempre per la pronuncia del dicembre 2015, vincolerà solo la parte IVA, quale tributo armonizzato).

Ancora si afferma che “Il soggetto passivo deve quindi disporre, da un lato, della possibilità di contestare, ai fini della valutazione della propria specifica situazione, tanto l’esattezza quanto la pertinenza dello studio di settore in questione. Dall’altro, il soggetto passivo dev’essere in grado di far valere le circostanze per le quali il volume d’affari dichiarato, benché inferiore a quello determinato in base al metodo induttivo, corrisponda alla realtà della propria attività nel periodo interessato. Laddove l’applicazione di uno studio di settore implichi per il soggetto passivo medesimo di dover eventualmente provare fatti negativi, il principio di proporzionalità esige che il livello di prova richiesto non sia eccessivamente elevato”.

Niente di nuovo dunque a parte quest’ultima frase. La prova del fatto negativo, ritenuta nella nostra tradizione giuridica come potenzialmente lesiva del diritto di difesa, va chiesta almeno con moderazione. Forse su questo punto le sentenze che arriveranno potranno dire, a nostro modestissimo avviso, qualcosa di nuovo.