Con la sentenza della sezione filtro della Corte di Cassazione del 13 novembre n. 26719 (Pres. Schirò, Rel. Napolitano) viene respinto il ricorso di una contribuente in materia di tassa sui rifiuti relativamente ad un’area corrispondente a ruderi di un’antica cattedrale classificati di interesse storico ex L. 1089/1929 e certamente non idonei, su base logico-deduttiva, a produrre rifiuti di sorta.
La Corte ricorda invece che il presupposto impositivo della TARSU è la potenziale attitudine a produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Per un qualsiasi immobile d’epoca, l’interesse culturale e artistico non sono sufficienti a ridurre o eliminare il versamento della tassa in esame. A tal riguardo è necessario infatti, dimostrare l’effettiva idoneità dell’immobile alla non produzione di rifiuti.
In sostanza, così come espresso anche in precedenti sentenze della Corte: “l’art. 62, comma 1, del d. lgs. 15 novembre 1993, n. 507, pone a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, ai fini dell’esenzione dalla tassazione prevista dal secondo comma del citato art. 62 per le aree inidonee alla produzione di rifiuti per loro natura o per il particolare uso, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni d’inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.
Non si ha modo di poter approfondire che cosa la contribuente abbia argomentato in ordine all’ affermato diritto di esenzione. Certo è che una prova si può fornire anche per presunzioni o, anche, il Giudice può attingere direttamente alle nozioni di fatto desumibili dalla comune esperienza (115 c.p.c.). E nel caso specifico un’area coperta di rovine storiche non farebbe esattamente pensare a una produzione di rifiuti da parte della contribuente. Ma, ribadiamo, occorrerebbe per esprimere un commento meglio argomentato disporre degli atti di causa.