“La sentenza con cui il debitore ceduto sia condannato al pagamento nei confronti del cessionario o del factor di un debito soggetto ad Iva deve essere tassata non in misura proporzionale con l’aliquota del 3% ai sensi dell’art. 8 della Tariffa allegata al d.P.R. 131/86 ma in base alla nota II al medesimo art. 8, secondo cui le sentenze di condanna non sono soggette all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi soggetti ad Iva ai sensi dell’articolo 40 del d.P.R. 131/86”. Questo l’interessante principio di diritto espresso con ordinanza n. 15263 del 1° giugno 2021 dalla Sezione Quinta della Corte di Cassazione (Pres. Chindemi, Rel. Zoso).
Nei fatti una società di factoring riceveva in qualità di cessionario un credito vantato da una s.p.a. nei confronti di un’azienda ospedaliera. A seguito del mancato pagamento integrale del debito ad opera del debitore ceduto, la società di factoring otteneva decreto ingiuntivo dal tribunale di Napoli per la somma di euro 305.327. L’agenzia delle entrate notificava avviso di liquidazione con cui liquidava l’imposta di registro applicando l’aliquota proporzionale del 3% ritenendo illegittimo il fatto che la parte avesse pagato l’imposta fissa ai sensi dell’articolo 40 del d.p.r. 131/86. Le successive sentenze della CTP e della CTR erano favorevoli alla società contribuente; in particolare il giudice di seconde cure motivava che, sul rilievo che il credito oggetto del decreto ingiuntivo fosse scaturito da un contratto di factoring (operazione finanziaria rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, seppur in regime di esenzione), per il principio di alternatività Iva-Registro il decreto ingiuntivo ottenuto a carico del debitore ceduto dovesse scontare l’imposta fissa. Da qui il ricorso per Cassazione dell’Agenzia.
I Giudici di Legittimità, respinte le doglianze dell’Ufficio, hanno ricordato come la questione dell’assoggettamento all’imposta di registro in misura proporzionale o fissa del decreto ingiuntivo (o della sentenza ottenuta dal cessionario del credito nei confronti del debitore ceduto) fosse già stata oggetto di esame da parte della Corte. Con la sentenza n. 11312/2000 è stato infatti affermato che il pagamento del credito ceduto attiene al rapporto tra il cedente ed il debitore ceduto e non al rapporto tra cedente e cessionario, divenendo incongruo fare riferimento al trattamento fiscale della prestazione resa dal cedente al cessionario dovendosi piuttosto considerare, ai fini della tassazione, il diverso rapporto tra cedente e debitore originario.
La Corte, in continuità con detto principio, ha pertanto riaffermato che “ai fini della tassazione della sentenza ottenuta dal cessionario contro il debitore ceduto, occorre avere riguardo alla natura del rapporto tra creditore cedente e debitore ceduto, per modo che, qualora quest’ultimo sia soggetto ad Iva, la sentenza stessa non è soggetta ad imposta proporzionale poiché il pagamento del debito originario era soggetto all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico”.
Come infine evidenziato dalla Corte tale soluzione interpretativa muove dalla premessa secondo cui il credito fatto valere dal cessionario nei confronti del debitore ceduto coincide con quello vantato dal creditore originario verso il debitore e muta solo con riguardo al soggetto cui il credito è stato ceduto, sostituendosi la figura del cessionario a quella del cedente. Inoltre a seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario, tanto è vero che può opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente, sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione od anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto (cfr. Cass. n. 9842/2018, Cass. n. 575/2001).