Niente di particolarmente innovativo nella Sentenza 21 gennaio 2020, n. 1230 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Locatelli, Rel. Gilotta), ma una importante conferma: quella per la quale gli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del D.Lgs. costituiscono una elencazione non tassativa e dunque anche il diniego esplicito di autotutela può rientrare in tale ambito.
La Corte al riguardo respinge un ricorso dell’Agenzia delle Entrate fondato proprio sulla non menzione nella norma suddetta del diniego, con la conseguenza, secondo la tesi affermata nel ricorso, che la CTR avrebbe dovuto considerare il ricorso inammissibile.
Per i Giudici di Legittimità invece si è oramai consolidato un orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cass., 12150/2019) secondo il quale «in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448» (Cass. n. 13963 del 5 giugno 2017; n. 11929 del 28 maggio 2014).
La Corte prosegue ricordando come in giurisprudenza sia stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992: “sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico)” (Cass. n. 17010 del 5 ottobre 2012).
Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato art. 19, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento; ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (in termini, Cass. n. 21045 del 8/10/2007; Cass. Sez. U, n. 10672 del 11/5/2009; Cass. n. 27385 del 18/11/2008; Cass. n. 14373 del 15/6/2010; Cass. n. 8033 del 7/4/2011; Cass. n. 10987 del 18/5/2011; Cass. n. 16100 del 22/7/2011)”.