Gli atti con i quali il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente il pagamento della tariffa di igiene ambientale, anche quando assumono la forma della fattura commerciale, non avendo per oggetto il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, bensì un’entrata pubblicistica, hanno natura di atti impositivi ed il contribuente ha pertanto la facoltà (sebbene non l’obbligo) di impugnarli dinanzi al giudice tributario, sebbene non siano ricompresi nell’elenco di cui all’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., Sez. 5, n. 27805 del 31 ottobre 2018).
In particolare, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 il quale, tuttavia, abbia natura di atto impositivo, è una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo, quale, ad esempio, la cartella di pagamento (Cass., Sez. 6-5, n. 14675 del 18 luglio 2016).
Ciò in ragione del principio generale per il quale l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’articolo 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 che, però, sia espressivo di una pretesa tributaria ormai definita, come avviene con gli atti recanti intimazioni di pagamento, è una facoltà e non un onere, costituendo un’estensione della tutela, sicché la sua omissione non determina la cristallizzazione della pretesa tributaria, né preclude la successiva impugnazione di uno degli atti tipici previsti dal citato articolo 19 (Conf. Cass., Sez. 5, n. 2616 dell’il. febbraio 2015).
Questo in sintesi il ben motivato convincimento della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione la quale nella sentenza 25 ottobre 2019 n. 25062 (Pres. Chindemi, Rel. Cavallari) respinge il ricorso della società concessionaria del servizio.