Con sentenza n. 23515 del 27 ottobre 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Virgilio, Rel. Perrino) si è espressa in tema di applicabilità dell’IVA in riferimento all’indennità per la perdita d’avviamento corrisposta al conduttore dell’immobile commerciale nell’ipotesi di cessazione del rapporto di locazione.
La Corte ha innanzitutto ricordato come l’istituto della transazione trae trattamento tributario, in generale, dall’art. 29 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico sull’Imposta di Registro), a norma del quale per le transazioni che non importano trasferimento di proprietà o trasferimento o costituzione di diritti reali l’imposta si applica in relazione agli obblighi di pagamento che ne derivano senza tenere conto degli obblighi di restituzione ne’ di quelli estinti per effetto della transazione; se dalla transazione non derivano obblighi di pagamento l’imposta è dovuta in misura fissa. Tuttavia, in ragione del principio di alternatività tra iva e imposta di registro fissato dagli artt. 5 e 40 dello stesso d.P.R. d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (di cui la rilevanza degli obblighi di pagamento deve tener conto) qualora sia ravvisabile nella transazione una prestazione di servizi imponibile ai fini iva, sarà questa imposta a dover essere applicata. Nel caso di specie, infatti, il giudice d’appello avendo ritenuto che la somma corrisposta alla conduttrice di un immobile commerciale fosse stata volta anche a ristorarla della perdita dell’indennità di avviamento aveva ravvisato nell’indennità stessa il corrispettivo di una prestazione di servizi, facendo dunque rientrare la stessa nel perimetro di applicazione dell’IVA.
Riprendendo un recente orientamento giurisprudenziale (cfr. sentenza 29180/2019) la Corte ha però ribadito come l’indennità per la perdita d’avviamento dovuta al conduttore dell’immobile commerciale, nell’ipotesi di cessazione del rapporto di locazione, non sconta l’iva, proprio perché non fronteggia alcuna prestazione di servizi, ma è chiamata invece a ristorare una perdita, correlata proprio alla cessazione del contratto. I Giudici di Legittimità hanno inoltre chiarito la duplice funzione dell’indennità: da un lato, quella di compensare il conduttore della perdita dell’avviamento, conseguente alla indisponibilità dei locali; dall’altro, quella di distribuire equitativamente l’incremento del valore locativo indotto dall’esercizio dell’attività commerciale nei locali dell’impresa a chi ha concorso all’incremento.
Del resto giova ricordare come anche la giurisprudenza Unionale si sia preoccupata di definire le condizioni per le quali una somma qualificata come indennizzo debba ritenersi volta a remunerare una prestazione di servizi: cioè quando il rapporto giuridico che unisce le parti dipenda proprio dal versamento dell’indennità stessa che viene dunque a configurarsi quale elemento costitutivo del contratto (Corte giust. 3 luglio 2019, causa C-242/18, Unicredit Leasing, punto 71).
Nel caso in esame, accogliendo uno dei motivi di ricorso dei contribuenti, la Corte non ha ravvisato legame alcuno tra prestazioni (la prestazione indennitaria del locatore e l’obbligazione di rilascio dell’immobile del conduttore) scaturente dal sinallagma contrattuale, poiché la prestazione indennitaria sorgeva in un momento in cui il rapporto contrattuale era già cessato. Il pagamento dell’indennità nel caso di specie non ha riguardato la regolare esecuzione del contratto, ma la fase successiva dell’esecuzione per rilascio in danno del conduttore, integrando una condizione dell’azione esecutiva; né l’importo spettante a quel titolo era legato al recupero di una parte dei costi associati alla prestazione dei servizi forniti, ossia a una parte del prezzo del servizio che il locatore si è impegnato a fornire al conduttore. Ragione per cui nel caso in esame i Giudici di Legittimità si sono espressi nel senso di escludere l’imponibilità dell’indennità ai fini dell’iva e a ricondurre gli obblighi di pagamento scaturenti dalla transazione nell’alveo dell’imposta di registro.
Sfavorevole invece al contribuente la lettura data dalla Corte in tema di IRPEF; come sancito dai Giudici di Legittimità infatti, in ripresa di un consolidato orientamento giurisprudenziale, le somme percepite a titolo risarcitorio sono soggette a tassazione se ed entro i limiti in cui siano volte, come verificatosi nel caso in esame, a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi (Cass. 21 febbraio 2019, n. 5108). L’indennità spettante al conduttore per la perdita dell’avviamento commerciale, inoltre, ai sensi dell’art. 34 I. 27 luglio 1978 n. 392, costituisce un reddito soggetto a ritenuta di acconto (Cass. 24 luglio 2013, n. 17943).
Nei fatti una contribuente l’attività di ristoratrice in un immobile condotto in locazione, alla scadenza del relativo contratto, riceveva intimazione di licenza per finita locazione. Ne scaturiva una lite giudiziaria a composizione della quale le parti raggiungevano un accordo transattivo; in particolare a fronte della rinuncia della conduttrice, tra le altre, all’indennità di avviamento a costei veniva corrisposta la somma di euro 110.000,00 a titolo risarcitorio omnicomprensivo. L’Agenzia ravvisava in tale corresponsione materia imponibile ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA. Ne traeva origine un avviso di accertamento, impugnato dalla contribuente. La CTP di Brescia annullava l’atto impositivo, mentre la Commissione regionale accoglieva il ricorso dell’Agenzia sostenendo il giudice d’appello che riferendosi anche alla rinuncia all’indennità di avviamento la somma risarcitoria rappresentasse quanto all’IVA, come già anticipato, il corrispettivo di una prestazione di servizi. Ricorrevano dunque per Cassazione gli eredi della contribuente denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 1, e dell’art. 15, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, avendo la CTR trascurato che l’indennità di avviamento non rientrasse nel perimetro di applicazione dell’iva e violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 2, e dell’art. 17, lett. h), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 non avendo il giudice d’appello considerato la natura meramente risarcitoria, e quindi non imponibile, della somma corrisposta.