IRAP e lavoro autonomo: non rilevano l’entità dei compensi percepiti o il reddito professionale, ma solo la presenza o meno di una autonoma organizzazione.

A volte capita di commentare affermazioni che paiono ovvie a chi abbia seguito la vicenda dell’IRAP in capo ai lavoratori autonomi dalla sentenza n. 156 del 2001 della Corte Costituzionale in avanti. Si ricorderà allora che tutta la questione sul tema parte dal passaggio motivazionale (punto 9.2 della sentenza) per cui “.. é evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive.. con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa”.

Quasi diciassette anni di giurisprudenza hanno indagato sotto vari profili il requisito dell’autonoma organizzazione relativamente ai professionisti, giungendo oramai a letture che potremmo considerare consolidate, anche se per taluni aspetti ancora non immuni da dubbi.

Ma è anche noto a chi sia solito difendere il contribuente in questo tipo di vicende che l’amministrazione tenda invece, in giudizio, a valorizzare elementi evidentemente non conferenti in relazione al requisito organizzativo predetto. Il livello numerico (e generico) dei costi, le collaborazioni di altri professionisti, l’entità dei compensi percepiti…..

Proprio quest’ultimo elemento (i compensi elevati) viene sottoposto al vaglio di legittimità nella Ordinanza 15 maggio 2018 n. 6439 della sezione filtro (Pres. Cirillo, Rel. Napolitano), stante il fatto che la CTR aveva utilizzato tale criterio per decidere a favore dell’Agenzia delle Entrate.

Secondo la Corte il Giudice regionale ha errato nel fare riferimento al godimento di un reddito annuale rilevante ed assumendo detta circostanza come indice della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione. Ha infatti disatteso il principio di diritto (cfr. Cass. sez. 5, ord. 6 giugno 2009, n. 13038), secondo il quale l’entità del reddito prodotto non può costituire elemento decisivo che possa di per sé integrare il presupposto per l’applicazione dell’IRAP. L’attenzione andava infatti posta sulla organizzazione e sul fatto che, nel caso specifico il professionista (revisore) utilizzasse l’organizzazione di una nota società di revisione. Questo elemento, al contrario di quanto la CTR aveva affermato, deponeva nel senso di non poter individuare il revisore come responsabile dell’organizzazione, con conseguente esenzione del professionista da IRAP.