La Corte di Cassazione, in tema di esclusione dall’IRAP, conferma il consolidato orientamento (dalla sentenza n. 12338 del 2012 in avanti) per cui il contribuente può opporsi al prelievo IRAP anche in sede d’impugnazione della cartella di pagamento emessa sulla base della dichiarazione purché ovviamente tale cartella costituisca il primo atto con cui la pretesa viene portata a conoscenza del contribuente.
Tale lettura, a cui continua ad opporsi l’AE sostenitrice della vincolatività della dichiarazione e dunque della non impugnabilità dei tributi a seguito di mera liquidazione della stessa, viene ribadita dalla quinta sezione della Corte di Cassazione nella sentenza 31 maggio 2017, n. 13730 (pres. Virgilio, rel. Greco).
Secondo la Corte “L’impugnazione della cartella esattoriale, emessa in seguito a procedura di controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 non è preclusa dal fatto che l’atto impositivo sia fondato sui dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione, in quanto tale conclusione presupporrebbe la irretrattabilità delle dichiarazioni del contribuente che, invece, avendo natura di dichiarazioni di scienza, sono ritrattabili in ragione della acquisizione di nuovi elementi di conoscenza o di valutazione” (Cass. n. 9872 del 2011).
Si è in particolare precisato che “in tema d’IRAP, il contribuente può contestare la debenza del tributo, frutto di errore nella dichiarazione presentata, anche in sede d’impugnazione della cartella di pagamento, nonostante la scadenza del termine di cui all’art. 2, coma 8 bis, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, atteso che le dichiarazioni dei redditi sono, in linea di principio, sempre emendabili, sin in sede processuale, ove per effetto dell’errore commesso derivi, in contrasto con l’art. 53 Cost., l’assoggettamento del dichiarante ad un tributo più gravoso di quello previsto dalla legge” (Cass. n. 4049 del 2015)”.