A molti anni dall’istituzione dell’IRAP e dalla successiva sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001 con la quale si dichiarò legittimo il tributo, al contempo di fatto esonerando da esso i professionisti e i piccoli imprenditori senza organizzazione, ancora capita di imbattersi massime che riportano indietro alle problematiche di quell’epoca.
Una questione allora dibattuta era quella di come comportarsi in caso di mancanza del requisito organizzativo. Fare la dichiarazione IRAP o no? E nel caso inserire compensi o ricavi imponibili pari a zero oppure inserire quelli reali e non pagare?
Chi avesse agito su quest’ultima linea si sarebbe poi trovato a fronteggiare una cartella di pagamento ex 36-bis del DPR 600/73. Con qualche rischio di inammissibilità del ricorso eventuale giacché come è noto la cartella può essere impugnata solo per vizi propri.
Ed in effetti il contribuente (avvocato) cui si riferisce la vicenda all’esame della Sezione Tributaria ha percorso proprio questa strada. Vinta la causa in primo grado, la CTR ha però sancito la inammissibilità del primo ricorso rispetto al ricalcolo effettuato con procedura esattoriale.
La Corte di Cassazione nella Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18581 (Pres. Sorrentino, Rel. Crucitti), ha invece ritienuto fondato il primo motivo del ricorso del contribuente ovvero la violazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 perpetrata dalla C.T.R. laddove aveva ritenuto che non si potesse impugnare la cartella se non per vizi propri della stessa e non per questioni di merito giacché il contribuente aveva impugnato non la cartella, ma l’iscrizione a ruolo indicata nella stessa, sostenendo la mancanza del presupposto impositivo.
Per la Corte infatti la dichiarazione dei redditi non è una dichiarazione di volontà, ma una dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente (Cass. Sez. U. 30/06/2016, n. 13378; Cass. 28/10/2015, n. 21968);
Ove ciò accada, in applicazione delle regole generali sulla ripartizione dell’onere della prova stabilite dall’art. 2697, cod. civ., spetta al contribuente che «ritratta» la propria dichiarazione dimostrare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione).
Assolto questo onere probatorio (che sarà questione di merito da esaminare in fase di rinvio) dunque, non vi potranno essere impedimenti all’accoglimento delle ragioni del contribuente.