La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nella sentenza 3 ottobre 2018, n. 24001 (Pres. Bruschetta Rel. Triscari) si occupa di un contribuente che non ha potuto detrarre parzialmente una cifra consistente pagata al proprio fornitore per IVA calcolata ad aliquota maggiore del dovuto. In questo contesto, come sappiamo, la giurisprudenza interna è concorde nel ritenere che la maggiore IVA versata non sia detraibile, con buona pace del principio di neutralità del tributo. Che potrà essere ripristinata solo con un rimborso chiesto dal cedente.
La Corte ricorda la giurisprudenza costante nel ritenere che, in tema di IVA, secondo il combinato disposto del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e della sesta direttiva del Consiglio CEE del 15 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17, la detrazione dell’imposta pagata “a monte” per l’acquisto o l’importazione di beni, o per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa, non è ammessa in ogni caso, in quanto non è sufficiente, ai fini della detrazione, che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, ma è altresì indispensabile che esse siano assoggettabili all’IVA nella misura dovuta.
In particolare, è stato ribadito (Cass. 17 dicembre 2014, n. 26482), che, nell’ipotesi in cui l’imposta pagata sia stata erroneamente calcolata sulla base di un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta, la mancata attivazione, nel prescritto termine annuale, della speciale procedura di variazione dell’imposta e dell’imponibile, di cui al d.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, fa venire meno il diritto del contribuente a recuperare il credito mediante detrazione, salva la possibilità per il medesimo di presentare istanza di rimborso della maggiore imposta indebitamente versata.
Né può valere, secondo la Corte, l’applicabilità alla fattispecie dello jus superveniens costituito dalla modifica operata dall’art. 1 comma 935 della legge 27 dicembre 2017, n. 205 al comma 6, dell’art. 6, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, laddove prevede che in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, I’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro.
La norma è stata infatti inserita dalla legge n. 205/2017 nell’ambito della disciplina generale in materia di sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, prevedendo la misura della sanzione amministrativa da irrogare nei confronti del committente o cessionario che applichi l’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o dal prestatore. Quindi, con riferimento alla determinazione della misura delle sanzioni, trovano applicazione le previsioni del favor rei di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 472/1997. Ma la medesima previsione, laddove prevede che, a prescindere dalla sanzione, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’Iva, non sana le violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della nuova norma con riferimento al tributo dovuto.