“La fattura concernente operazioni inesistenti e scontata in banca al fine di ottenere un’anticipazione sul credito rappresentato dal documento contabile deve ritenersi messa in circolazione, essendosi verificato lo spossessamento in favore dell’ente creditizio (che può incassare il credito in nome e per conto dell’emittente, ma anche nel proprio interesse). Tale fattura è, dunque, emessa ai sensi dell’art. 21, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, indipendentemente dalla formale consegna o spedizione alla controparte e l’emittente, la cui buona fede va senz’altro esclusa, è tenuto al versamento dell’IVA relativa ai sensi del settimo comma della citata disposizione, salva la prova dell’eliminazione degli effetti pregiudizievoli per l’Erario derivanti dalla utilizzazione del documento contabile”. Questo il principio di diritto sancito dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Fuochi Tinarelli, Rel. Nonno) con sentenza n. 27637 del 12 ottobre 2021 in accoglimento di un ricorso presentato da una società a responsabilità limitata.
Nei fatti con due avvisi di accertamento per IVA relativi agli anni di imposta 2004 e 2005 l’Agenzia delle entrate aveva contestato alla società contribuente il mancato versamento dell’IVA con riferimento a tre fatture relative ad operazioni inesistenti (due concernenti l’anno d’imposta 2004 e una concernente l’anno d’imposta 2005). Secondo la prospettazione dell’Amministrazione finanziaria la semplice emissione delle fatture comportava l’obbligo di versamento dell’IVA, indipendentemente dal fatto che le stesse fossero state utilizzate dalla società contribuente unicamente per essere “scontate” in banca al fine di ottenere prestiti e non già per ragioni fiscali. CTP e CTR respingevano rispettivamente il ricorso e l’appello della società. Da qui il ricorso per Cassazione con il quale la società lamentava la falsa applicazione dell’art. 21, primo e settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto la CTR non avrebbe considerato che l’emissione della fattura implicherebbe non la semplice esistenza contabile del documento bensì la consegna al destinatario.
La Corte ha preliminarmente ribadito come, recependo l’orientamento della Corte UE, la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che il fatto stesso dell’emissione di una fattura per operazioni inesistenti implichi l’obbligo di pagamento della relativa IVA, fatti salvi l’esistenza della buona fede (mai sussistente in caso di operazioni oggettivamente inesistenti) ovvero l’obbligo di eliminare il pericolo di perdita di gettito per l’Erario (cfr. Cass. n. 10974 del 18/04/2019; Cass. n. 22963 del 26/09/2018; Cass. n. 10939 del 27/05/2015; Cass. n. 21110 del 13/10/2011).
Con riferimento alla specifica fattispecie per la Corte si è dunque posto il problema di stabilire se le fatture, pacificamente utilizzate al fine di ottenere un finanziamento bancario, possano effettivamente dirsi emesse ai sensi dell’art. 21, primo comma del D.P.R. IVA e far dunque sorgere la debenza dell’imposta. Come evidenziato dalla Corte stessa, in tal senso, esisterebbero due orientamenti.
Secondo il primo orientamento in materia di fatturazione per operazioni inesistenti l’obbligazione tributaria opera a carico dell’emittente dal momento in cui la fattura è consegnata o spedita alla controparte (Cass. n. 27684 del 11/12/2013; Cass. n. 31060 del 21/12/2017).
Secondo l’altro orientamento (in applicazione del “principio di cartolarità”) invece l’insorgenza del rapporto impositivo nei confronti del soggetto passivo è ricollegato alla semplice emissione del documento contabile. In tal senso l’IVA dovuta per operazioni inesistenti (per l’intero ammontare indicato in fattura ex art. 21 settimo comma DPR IVA) deve considerarsi “fuori conto”: senza cioè che possa operare il meccanismo della compensazione (ex art. 19 DPR IVA) in considerazione della rilevanza penale della condotta tenuta dall’emittente, il quale per evitare il pagamento dell’IVA a debito deve attivarsi, con la procedura di variazione (ex art. 26 DPR IVA).
La Corte, descritti i due filoni giurisprudenziali, ha confermato che “la fattura presentata in banca al fine di ottenere un’anticipazione (cd. sconto improprio: cfr. Cass. n. 9848 del 15/06/2012) va considerata senz’altro emessa ai sensi dell’art. 21, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972”.
In tal senso l’’obbligo di pagamento dell’IVA da parte dell’emittente, che ha consapevolmente emesso fatture per operazioni inesistenti presentandole in banca a fini di finanziamento, può essere escluso unicamente laddove questi provi di avere eliminato ogni possibile conseguenza pregiudizievole derivante all’Erario dall’utilizzazione di dette fatture: per esempio fornendo la prova che le fatture siano state annullate o rettificate con la procedura di variazione di cui all’art. 26 del DPR IVA o anche la banca non ne abbia mai chiesto e non possa più chiederne il pagamento al destinatario.
Proprio su questo punto la Corte accoglie il ricorso del contribuente. Ovvero, fermo restando il principio, la CTR ha omesso di indagare se gli effetti della fattura portata in banca, dal lato dell’emittente, siano poi stati azzerati con una nota di credito o altra variazione ex art. 26.
Sinceramente si resta un po’ spiazzati da questa complicatissima analisi epistemiologica. Ovvero, se una fattura viene emessa solo per andare in banca a chiedere una anticipazione, non viene contabilizzata, reca un numero a caso e il nome di un cliente inventato, parrebbe di capire che, secondo il principio di diritto enunciato, viene comunque considerata come emessa e genera iva a debito. Se viene registrata ma prontamente annullata da una nota di credito, no.
Forse basterebbe riflettere sulla semplice nullità iniziale del documento, desumibile dalla mancata registrazione, dal numero non progressivo, dal cliente inesistente o comunque non considerato poi contrattualmente tale…. Insomma se si porta in banca un contratto di appalto falsificato, per meglio essere considerato, non si dovrà eseguirlo il giorno dopo, visto che è nullo da inesistenza oggettiva.
Ma tant’è. La lettura è questa. Oggi rileviamo però, incidentalmente, che con le fatture elettroniche la emissione delle stesse e delle relative note di credito (ora indispensabili in un caso analogo) ha almeno un supporto probatorio in più….