La Cassazione conferma: niente raddoppio dei termini in ambito IRAP.

Il raddoppio dei termini per l’accertamento è stato introdotto nel nostro sistema tributario con il D.L. 223/2006, art. 37, commi 24 e 25.

La disciplina prevedeva fino al 2015 che, in caso di violazione che comporti obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74/2000, i termini ordinari di accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione. Nel 2015 l’istituto è stato modificato con il D.Lgs. n. 128 (c.d. Decreto sulla certezza del diritto, attuativo della delega fiscale 11 marzo 2014, n. 23) che, con l’art. 17, commi 1 e 2, (“Modifiche alla disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento”), ha disposto la modifica e l’inserimento, negli artt. 43, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, e 57, c. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, del seguente periodo: «Il raddoppio opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini»

L’art. 2, comma 3, del medesimo decreto del 2015, ha inoltre circoscritto il campo di operatività di tale intervento ai soli avvisi di accertamento notificati dopo la data di entrata in vigore dello stesso (c.d. clausola di salvaguardia).

Da tempo secondo una consolidata lettura della Corte di Cassazione (cfr. Cass. 12810/2016, Cass. 20435/2017, Cass. n. 10483 e n. 26326 del 2018 e altre) si è sancita l‘inapplicabilità di tale termine lungo all’Irap. Ciò discende dal mancato inserimento delle violazioni relative all’imposta regionale tra le ipotesi delittuose previste dal D.Lgs. 74/2000, testo che ricomprende in modo espresso solamente i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto: la disciplina penale tributaria risulta pertanto non applicabile all’Irap, in quanto le violazioni riferibili a tale imposta non sono idonee a porre in essere fatti penalmente rilevanti. Una diversa interpretazione si porrebbe dunque in contrasto con il divieto di analogia, ai sensi di quanto espressamente previsto dall’articolo 25, comma 2, Costituzione.

Su questa linea si muove anche l‘Ordinanza 20 maggio 2020, n. 9314 della Sesta Sezione (Pres. Mocci, Rel. Capozzi), secondo la quale “il raddoppio dei termini di accertamento non opera con riferimento all’IRAP, non essendo essa un’imposta per la quale siano previste sanzioni penali, con la conseguenza che, in ordine alla medesima, non può operare la disciplina del raddoppio dei termini”.

Sull’argomento si erano  già espresse sia la Guardia di Finanza, che con la Circolare 1/2018 ha escluso il raddoppio dei termini per le violazioni IRAP. Nel 2019 si è segnalato anche un intervento della stessa Agenzia delle Entrate che ha infine accettato questa lettura, con possibili riflessi sui giudizio in corso. Avrebbe così diramato “una serie di istruzioni impartite dalle Direzioni regionali, provinciali e Centri operativi” in tal senso secondo Il Sole 24 Ore del 13 febbraio 2019,