La Corte Costituzionale con Sentenza n. 278 del 16 dicembre 2016 ha deciso relativamente all’ordinanza del 15 gennaio 2016 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 76 della Costituzione, avente ad oggetto l’art. 9, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 2015, n. 156 (Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23).
Ciò con riferimento alla parte in cui il decreto legislativo di riforma del contenzioso tributario introduce il comma 2-quater dell’art. 15 del decreto legislativo 1992, n. 546.
Tale norma, in un articolo rubricato “Spese del giudizio” prevede letteralmente quanto segue:
“2-quater. Con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la commissione provvede sulle spese della relativa fase. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito”.
La CTP di Treviso fa presente di aver deciso sull’istanza medesima, riservandosi di provvedere sulle spese della fase cautelare, dubitando della legittimità costituzionale della relativa previsione legislativa.
Secondo la Commissione rimettente la disposizione censurata sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 76 Cost., in quanto
- la legge delega 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) nulla prevede in punto di spese cautelari. Infatti, l’art. 10, in materia di revisione del contenzioso tributario, nel fissare i princìpi e criteri direttivi, individua l’incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, da perseguire, tra l’altro, attraverso interventi riguardanti, con particolare riferimento alle spese del giudizio, «l’individuazione di criteri di maggiore rigore nell’applicazione del principio della soccombenza al fine del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca», senza fare alcun riferimento alle spese della fase cautelare.
- La norma, del resto, non rappresenterebbe un coerente sviluppo logico o un ragionevole completamento dei princìpi e criteri direttivi posti della legge delega. Essa, infatti, non potrebbe essere collegata né all’obiettivo posto dalla legge delega di «rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente», in quanto l’ordinanza cautelare non è impugnabile; né all’obiettivo di «incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria», in quanto la condanna alle spese della fase cautelare non è immediatamente esecutiva e non potrebbe, pertanto, avere alcun effetto deterrente sulla proposizione dell’istanza cautelare.
L’eccezione di incostituzionalità non viene accolta.
Infatti per la Corte Costituzionale è riconosciuta al legislatore delegato una attività normativa di completamento e sviluppo delle scelte del delegante (cfr. sentenza n. 194 del 2015), che deve, però, svolgersi nell’alveo delle scelte di fondo operate dal legislatore della delega, nel pieno rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con il complessivo quadro normativo (sentenza n. 59 del 2016).
Ebbene, la Corte non ritiene che nel caso in esame il legislatore delegato abbia travalicato questi limiti. L’art. 10, comma 1, lettera b), numero 11), della legge n. 23 del 2014 dispone che il Governo è delegato ad introdurre “norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente” anche attraverso “l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca”.
Ebbene, secondo la Corte, la scelta del legislatore delegato di introdurre la condanna alle spese della fase cautelare rappresenta il corretto esercizio della fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenza n. 230 del 2010), in coerenza con la ratio della legge delega (sentenza n. 229 del 2014). La previsione di liquidare le spese della fase cautelare già alla chiusura di tale segmento processuale, infatti, costituisce un’applicazione del principio sostanziale della soccombenza con una regola più rigorosa, meramente processuale, che si limita ad anticipare e ad evidenziare l’incidenza di questa fase sulla distribuzione delle spese processuali.
Ovviamente ogni decisione della Consulta merita soltanto rispetto. Ci chiediamo tuttavia perché da una delega per “il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente” che operi anche in punto di spese del giudizio (tradizionalmente lasciate alla discrezionalità del giudice, sovente ispirata da una certa tolleranza verso gli errori del fisco) derivi, come conseguenza logica di “riempimento” della delega stessa, la norma che fa gravare le spese del giudizio cautelare su colui che chiede perlomeno una sospensione della riscossione. In particolare in primo grado il congiunto operare di requisiti molto stretti (che caratterizzano il giudizio cautelare davanti alla Commissione Provinciale) da un lato e possibile condanna alle spese del giudizio dall’altro, non può non far pensare ad un effetto dissuasivo della nuova norma nei confronti di chi voglia temporaneamente fermare la riscossione (tra l’altro con la possibile soluzione di garantire le somme in gioco). Effetto che, per quanto si considerino con attenzione le motivazioni della sentenza, sembra davvero travalicare l’intenzione del delegante. Insomma il rispetto della “ratio” della delega, che la stessa Consulta raccomanda, è davvero difficile da individuare nel caso specifico.