Secondo la Corte di Giustizia le indicazioni troppo generiche in fattura, riguardanti le vendite effettuate o i servizi prestati, non sono conformi alla direttiva IVA del 2006. Ma ciò non autorizza solo per questo a derogare dal “principio fondamentale” della rivalsa.
Si tratta di quanto affermato, non in maniera chiarissima per la verità, dalla Corte con sentenza del 15 settembre 2016 decidendo la causa C‑516/14 avente a oggetto un contribuente portoghese. Nelle conclusioni presentate il 18 febbraio 2016 l’avvocato generale aveva non solo affermato che la fattura incompleta nell’indicazione del contenuto della prestazione non è conforme alle prescrizioni della direttiva, ma anche che ciò avrebbe per conseguenza che essa non consente al destinatario, fintanto che non sia integrata degli elementi mancanti, di esercitare il diritto alla detrazione. Il riferimento era l’art. 226 della direttiva 2006/112/Ce sul contenuto obbligatorio della fattura, in particolare il punto 6), che impone di specificare «la quantità e la natura dei beni ceduti o l’entità e la natura dei servizi resi» e il punto 7), che richiede l’indicazione della «data in cui è effettuata o ultimata la cessione di beni o la prestazione di servizi».
La Corte corregge però il tiro rispetto alle predette conclusioni.
Nella sentenza si legge infatti in primo luogo che l’articolo 226 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che le fatture che presentano solamente l’indicazione «servizi giuridici forniti [da una certa data] sino ad oggi», come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, non sono conformi, a priori, ai requisiti di cui al punto 6 di tale articolo e che le fatture che presentano solamente l’indicazione «servizi giuridici forniti sino ad oggi» non sono, a priori, conformi né ai requisiti di cui al citato punto 6 né a quelli previsti dal punto 7 di detto articolo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
Quanto alla detrazione iva, l’articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che osta a che le autorità tributarie nazionali possano negare il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto per il solo motivo che il soggetto passivo detiene una fattura che non soddisfa i requisiti di cui all’articolo 226, punti 6 e 7, della menzionata direttiva, laddove tali autorità dispongano di tutte le informazioni necessarie per accertare che i requisiti sostanziali relativi all’esercizio del diritto in parola siano soddisfatti.
Ad evitare che qualche solerte funzionario legga frettolosamente i primi commenti usciti sulla stampa specializzata desumendo una regola di passiva conoscenza totale dell’operazione come “concessione” del diritto alla rivalsa, riportiamo quanto esposto al punto 42 della sentenza. In particolare: “La Corte ha affermato che il principio fondamentale di neutralità dell’IVA esige che la sua detraibilità a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi”.
Quindi prima che si manifestino tentazioni verso un approccio formalistico, è forse meglio sottolineare il “principio fondamentale” del diritto alla rivalsa. Nonché il principio immanente di buona fede all’articolo 10 della L. 212/2000.