Con l’ordinanza n. 12394 del 11 maggio 2021 la Sezione Quinta della Corte di Cassazione (Pres. De Masi, Rel. Mondini) ha ribadito alcuni interessanti principi in merito all’istituto dell’accertamento con adesione. In particolare circa le condizioni che il giudice a quo è tenuto a prendere in considerazione quando sia chiamato a valutare se l’atto presentato dal contribuente all’amministrazione presenti caratteristiche tali da poterlo configurare come domanda di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 218/1997.
Nei fatti una s.a.s. ed un contribuente ricorrevano per la cassazione della sentenza con cui la CTR della Valle d’Aosta aveva ritenuto doversi qualificare come istanza di annullamento in autotutela (come tale priva di effetto sospensivo del termine di cui all’art. 21 d.lgs. 546/92) e non come istanza di accertamento con adesione la richiesta presentata all’amministrazione in relazione ad un avviso di accertamento e di liquidazione di maggior imposta di registro. Confermando con ciò la CTR la sentenza di primo grado con la quale era stata dichiarata tardiva, e perciò inammissibile, l’impugnazione dell’avviso.
La Corte ha dapprima ritenuto utile riepilogare le caratteristiche e le differenze intercorrenti tra i due istituti in questione. L’istanza di accertamento con adesione è un atto di impulso a che l’amministrazione formuli una proposta di “concordato” a cui si aggiunge l’adesione del contribuente; in coerenza con l’intrinseca finalità deflattiva la stessa deve essere presentata prima che sia trascorso il termine di impugnazione del provvedimento impositivo (art. 21 del d.lgs. 456/92) e ha, per legge, l’effetto di sospendere questo termine per 90 giorni (art. 12 d.lgs.218/1997). L’istanza di autotutela, invece, è un atto di impulso a che l’amministrazione eserciti il potere di tornare autonomamente sulle proprie determinazioni; pur potendo avere effetto deflattivo non è specificamente finalizzato a ridurre il contenzioso e pertanto non incide sul corso del termine di impugnazione del provvedimento (nessuna legge dispone in tal senso né ricorrono i presupposti per ipotizzare di applicare analogicamente la previsione dell’art. 12 del d.lgs.218/1997).
I Giudici di Legittimità, esaminando i passaggi motivazionali della sentenza impugnata, hanno poi dettagliatamente evidenziato i vizi e le violazioni di legge in cui è incorso il giudice di seconde cure, con ciò accogliendo il ricorso dei contribuenti.
In particolare: a) affermando che la dicitura di domanda di accertamento con adesione ai sensi dell’art.6 d.lgs. 218/1997 presente nell’oggetto dell’istanza fosse di “mano ignota” e quindi priva di rilievo la CTR ha violato il primo comma dell’art. 1362 c.c. (“Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”); b) sostenendo che un’istanza sia propriamente valutabile come istanza di accertamento con adesione solo se nell’atto presentato all’ufficio il contribuente abbia manifestato di aderire all’accertamento compiuto dall’ufficio “senza condizioni o limitazioni” la CTR ha fatto una affermazione che non trova e non può trovare base nella logica dell’art.6, comma 2, del d.lgs. 218/1997, la quale esclude che il contribuente dia impulso ad una procedura finalizzata a concordare la definizione del rapporto controverso dichiarando di non aver alcuna eccezione da sollevare rispetto all’accertamento compiuto dall’ufficio; c) ritenendo, infine, irrilevante “il comportamento tenuto dalle parti in epoca successiva alla presentazione dell’istanza ed in particolare i due incontri svoltisi” il giudice di appello ha sia violato l’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, sia commesso un palese errore logico essendo la valutazione del comportamento tenuto dalle parti uno degli elementi utili a stabilire se l’atto presenta gli estremi dell’accertamento con adesione e quindi se esso determina l’effetto sospensivo.