Con ordinanza n. 15210 del 1° giugno 2021 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Zoso, Rel. Filocamo) torna ad esprimersi ribadendo il consolidato principio di diritto che sancisce l’infondatezza, in materia di imposta di registro, dell’avviso di liquidazione giustificato esclusivamente dalla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene risultante dalle quotazioni O.M.I (Osservatorio del Mercato Immobiliare).
Nei fatti l’Agenzia delle entrate notificava ad un contribuente l’avviso di rettifica e liquidazione con il quale, ai sensi degli artt. 51 e 52 d.P.R. n. 131 del 1986 procedeva a rideterminare il prezzo di una compravendita immobiliare con il contestuale recupero delle imposte di registro, ipotecarie e catastali dovute in relazione all’atto di vendita di un locale commerciale stipulato dal contribuente a favore di una Società. In particolare l’Ufficio elevava il valore dell’immobile rispetto al valore dichiarato sulla base della “consistenza, ubicazione ed il potenziale reddito sentite le agenzie immobiliari di zona, consultato pure l’O.M.I.” Il contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla CTP di Salerno ottenendo un accoglimento parziale sulla determinazione del valore accertato; il contribuente e l’Ufficio ricorrevano alla CTR della Campania che rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, confermando la decisione impugnata. Avverso questa decisione, il contribuente proponeva ricorso per cassazione.
La Corte ha ribadito l’ormai condiviso indirizzo giurisprudenziale per cui “In tema di accertamento dei redditi di impresa, in seguito alla sostituzione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell’art. 24, comma 5, della I. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dall’art. 35, comma 3, del d.l. n. 223 del 2006, conv., con modif., dalla I. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti”), l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni O.M.I., ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti”.
I Giudici di Legittimità hanno precisato come detto principio sia applicabile anche all’imposta di registro, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione europea. In particolare, come già in precedenza affermato dalla Corte stessa: a) le quotazioni O.M.I., risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del valore venale in comune commercio del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, essendo idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (cfr. Cass. n. 25707/2015); b) Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori O.M.I., per aree edificabili del medesimo comune, non è idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (cfr. Cass. n. 18651/2016; Cass. n. 11439/2018; Cass. n. 21813/2018).
La Corte, accolto dunque il ricorso in ragione dei suesposti principi, ha ricordato che un avviso di liquidazione fondato esclusivamente sui valori O.M.I. non può ritenersi fondato sotto il profilo motivazionale e, in difetto di ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle entrate, non può indicare congruamente il valore venale in comune commercio del bene.