“In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l’altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l’onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l’amministrazione creditrice a dover provare l’insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata).
Ne consegue che, se l’amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; e, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso ‘andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l’applicazione della regola suppletiva posta dall’art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l’onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario”.
Questo è il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite civili nella sentenza n. 28709 depositata il 16 dicembre 2020.
Nel caso specifico era accaduto che l’Agenzia delle Entrate avesse accertato maggiore Iva e Irap in capo ad una società di persone, la quale, al momento della notifica era già stata sciolta.
A seguito di ciò uno degli ex soci, riceveva successivamente una cartella di pagamento. Nella successiva impugnazione della cartella si eccepiva un vizio di notifica, nonché l’evidente inosservanza del beneficium excussionis spettante al socio, visto che l’imposta era stata richiesta al socio stesso senza che preventivamente fosse stata accertata l’incapienza del patrimonio sociale (con violazione degli artt. 2304, 2315, 2461 e 2268 cc.)
I giudici di primo grado rigettavano l’impugnazione e la decisione veniva confermata anche dalla CTR. Il collegio di appello, in particolare, non riteneva possibile il beneficio, in quanto applicabile solo in fase esecutiva. La difesa del contribuente decideva di ricorrere in Cassazione.
Nelle successive vicende del giudizio, considerato il contrasto di orientamenti giurisprudenziali, la sezione tributaria adita rimetteva la decisione al Primo Presidente della Corte, che a propria volta la devolveva alle Sezioni Unite.
Le Sezioni Unite ricordano preliminarmente che la disciplina del beneficium excussionis è applicabile a tutte le società comprese le irregolari. Il creditore allora dovrà verificare la capacità del patrimonio sociale prima di aggredire quello del singolo socio.
Nella società semplice (e nelle società irregolari) è sul socio che incombe l’onere di provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale (arg. da Cass. 15 dicembre 1990, n. 11921 e da Cass. n. 7000/03). Nel caso della società in nome collettivo e di quelle in accomandita semplice e per azioni l’onere della prova s’inverte: qui è il creditore a dover provare l’insufficienza del patrimonio sociale.