“In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito ires da eccedenza d’imposta versata a titolo di ritenuta d’acconto nasce in esito e per l’effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto”.
Il principio di diritto citato è quello affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2608 del 4 febbraio 2021 (Pres. Lombardo, Rel. Perrino) in relazione questione controversa riguardante la circolazione dei crediti nelle procedure concorsuali.
Avevamo al riguardo riferito dell’Ordinanza interlocutoria n. 10129 dello scorso anno con la quale la Sezione Tributaria aveva chiesto al Primo Presidente il rinvio alle Sezioni Unite.
Le questioni sollevate erano nell’ordine:
– se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa (LCA) a chiedere il rimborso del credito IRES da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, liquidato all’atto della presentazione della dichiarazione dei redditi a termini dell’art. 10, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973 successivamente all’archiviazione della procedura;
– se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa a chiedere il rimborso del credito IRES da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, il cui importo sia stato acquisito dalla procedura cedente prima della predisposizione del piano di riparto finale ma sia divenuto certo, liquido ed esigibile successivamente all’archiviazione della procedura per effetto della dichiarazione presentata, anche successivamente alla suddetta archiviazione e alla cancellazione della società, quale attività meramente esecutiva, effettuata in regime di prorogatio, volta a dare attuazione alla archiviazione della procedura concorsuale.
I Giudici di Legittimità ricordano al riguardo che il periodo di liquidazione configura un maxi periodo fiscale, nel quale confluiscono tutte le annualità della liquidazione. Non c’è quindi la possibilità per il curatore o il commissario liquidatore di applicare l’art. 80 del d.P.R. n. 917/86, perché, non sussistendo i presupposti per la compensazione, non si può computare in diminuzione in un periodo d’imposta successivo l’eccedenza che sia stata accertata. Quindi un credito fiscale (nel caso specifico da ritenute subite) va chiesto a rimborso al termine della liquidazione.
A questo punto, chiusa la società (ma con ancora la dichiarazione da presentare) il commissario liquidatore potrà ancora chiedere a rimborso il credito. Ma se questi è cessato dalla carica, non potrà invece cedere il credito in qualità, appunto, di rappresentante la procedura.
Nel caso specifico il commissario lo aveva in effetti ceduto prima, trattando, in un atto tra privati (e quindi sotto questo profilo legittimamente) della cessione di un credito futuro.
L’Agenzia delle Entrate però ha contestato tali modalità di cessione, non essendo riferite a un credito certo ed esigibile.
Allora le parti, funzionalmente alle pratiche di rimborso, hanno riprodotto l’atto di cessione con le modalià richieste. Ciò quando il cedente commissario non era però più in carica.
Per le Sezioni Unite il nuovo atto “a fronte di una cessione priva dei requisiti formali prescritti, la successiva stipulazione di un atto che, invece, li osservi si traduce in una riproduzione contrattuale, che consente al cessionario di far valere il credito nei confronti del fisco (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 21 ottobre 2019, n. 26803, a proposito delll’atto preordinato al compimento delle formalità immobiliari e alla pubblicità nei confronti dei terzi relativo a una vendita di cosa altrui mediante scrittura privata non autenticata)”.
Quindi il rimborso spetta al cessionario e il ricorso dell’Agenzia viene respinto. Con compensazione delle spese stante la novità e la complessità della materia.