E’ nulla, per principio incontrastato, la sentenza tributaria d’appello che si limiti a una relatio adesiva alla decisione di primo grado, senza vagliare criticamente i motivi di gravame, rendendo così impossibile cogliere la sua propria ratio decidendi.
Viene all’uopo richiamata precedente giurisprudenza della Corte (Cass. 12 marzo 2002, n. 3547; Cass. 16 dicembre 2013, n. 28113; Cass. 26 giugno 2017, n. 15884).
Nella motivazione si precisa che l’apparenza motivazionale, del resto, rileva come vizio di cassazione anche dopo che il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ridotto al “minimo costituzionale” dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, conv. in Legge n. 134 del 2012, trattandosi di un’anomalia motivazionale che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, perché attinente all’esistenza stessa della motivazione (Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053; Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8054).
Nella vicenda in esame, infatti, nella motivazione della sentenza di appello si affermava “la CTP ha respinto i ricorsi riuniti considerando valido il valore accertato dall’ufficio …. La commissione rileva che i giudici di primae curae hanno tenuto nella dovuta considerazione le ragioni della contribuente la quale però non ha sufficientemente dimostrato la validità delle proprie motivazioni . La Commissione infatti rileva in atti che l’ufficio ha correttamente giustificato il valore accertato …”, per cui “analizzando gli elementi utilizzati dall’ufficio per l’accertamento e quelli dell’appellante a supporto delle proprie ragioni, ritiene correttamente provato il valore accertato dall’ufficio”.
La Corte rileva come la CTR si sia quindi limitata ad aderire alla motivazione di primo grado sulla correttezza della ripresa fiscale, senza, tuttavia, prendere in alcuna considerazione, né sottoporre ad un vaglio critico (neppure in termini sintetici) le specifiche doglianze formulate dai contribuenti. Da qui la nullità della sentenza di appello.