Questione non semplice quella per il momento risolta dalla sentenza della quinta sezione della Corte di Cassazione n. 2007 del 26 gennaio 2018 (Pres. Chindemi, Rel. Zoso).
Il problema è quello dell’applicabilità o meno ai rapporti pendenti delle nuove regole sulla riqualificazione degli atti in ambito di imposta di registro, con riferimento quindi alla nuova formulazione dell’articolo 20 e al nuovo articolo 53-bis del D.P.R. 131/86.
I Giudici, su specifica eccezione dei ricorrenti, si pongono il problema di stabilire se le modifiche previste dall’art.1, comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 ) all’articolo 20, siano applicabili alla causa in corso. Il nuovo art. 20 cit. prevede infatti che “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.
Nel caso specifico la preclusione di un esame degli atti collegati, esterni a quello portato alla registrazione, sarebbe stata infatti risolutiva in favore dei contribuenti.
Secondo la quinta sezione la nuova norma introduce dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie che prima non erano previsti, fermo restando che l’amministrazione finanziaria può dimostrare la sussistenza dell’abuso del diritto previsto dall’ art. 10 bis della legge 212/2000 (introdotto dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128), il quale, alla lettera a), attribuisce espressamente rilevanza al collegamento negoziale, ma nel solo ambito, appunto, dell’abuso del diritto e non più in quello della mera riqualificazione giuridica.
E poiché l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha escluso la natura antielusiva dell’art. 20 a beneficio di quella della qualificazione giuridica della fattispecie, non si può affermare che la modifica introdotta all’art. 20 d.p.r. 131/86 dalla legge 27 dicembre 2017 n. 205 abbia natura interpretativa alla luce dell’art. 10 bis della legge 212/2000 poiché tale ultima norma disciplina il diverso ambito dell’abuso del diritto.
Inoltre “non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla legge 205/17 assegna alla disposizione concernente l’imposta di registro il compito di “chiarire” il criterio di individuazione della natura e degli effetti che devono essere presi in considerazione ai fini della registrazione. Tale elemento può, infatti, agevolmente superarsi sulla base del tenore testuale infine adottato dallo stesso art.1 co.87 in esame, il quale dichiara espressamente di apportare talune “modificazioni” all’art.20 d.P.R. 131/86, palesandosi così quale disposizione prettamente innovativa del precedente assetto normativo. E ciò trova conferma, in accordo con il dato letterale del nuovo disposto, anche in ragione del fatto che tale modificazione ha determinato una rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva pregressa; là dove l’art.20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimità) imponeva la tassazione sulla base di elementi (il dato extratestuale ed il collegamento negoziale) che vengono invece oggi espressamente esclusi; fatto salvo il loro ‘recupero’, come detto, nel diverso ambito della sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui all’art.10 bis legge 212/00 cit.”.
Secondo i Giudici della Sezione Tributaria va dunque affermato che l’art.1, comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 non avendo natura interpretativa, ma innovativa, non esplica effetto retroattivo; conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1^ gennaio 2018) continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell’art.20 d.P.R. 131/86.
La soluzione adottata ha certo un rigore formale. Ma ci permettiamo di sottolineare la difficile tenuta di questa lettura sotto il profilo della ragionevolezza. In primis si stabilisce una diversificazione tra atti formati dal primo gennaio 2018 e atti accertati dopo il primo gennaio 2018, con l’applicazione della nuova norma, che impatta decisamente sull’accertamento e quindi sul procedimento; in secondo luogo va forse ricordato che i limiti dell’articolo 20 erano, per molti studiosi della materia, già coincidenti con quelli del nuovo testo normativo e solo una deriva di stampo antielusivo e antiabusivo della stessa Corte di Cassazione ne aveva amplificato gli effetti.
Ci auguriamo di tornare quindi sulla questione nel nostro approfondimento del prossimo mese.