“In tema di revisione del classamento catastale di immobili urbani, la motivazione dell’atto, in conformità all’art. 3, comma 58, della I. n. 662 del 1996, non può limitarsi a contenere l’indicazione della consistenza, della categoria e della classe attribuita dall’agenzia del territorio, ma deve invece specificare, a pena di nullità, ai sensi dell’art. 7, comma 1, della I. n. 212 del 2000, a quale presupposto la modifica debba essere associata, se al non aggiornamento del classamento o, invece, alla palese incongruità rispetto a fabbricati similari; in questa seconda ipotesi l’atto impositivo dovrà indicare la specifica individuazione di tali fabbricati, del loro classamento e delle caratteristiche analoghe che li renderebbero similari all’unità immobiliare oggetto di riclassamento, consentendo in tal modo al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nella successiva fase contenziosa conseguente alla richiesta di verifica dell’effettiva correttezza della riclassificazione.” (Cass. n. 25037 del 2017, n. 2184 del 2015, del 2013, n.21532 n. 10489 del 2013).
Questo il passaggio motivazionale più rilevante della Ordinanza 24 maggio 2019 n. 14185 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Cristiano, Rel. Billi).
La Corte, richiamando il predetto consolidato orientamento, chiarisce altresì che l’integrazione a posteriori del contenuto della motivazione non è consentito, in quanto questa costituisce uno dei requisiti genetici dell’atto.
Nel caso specifico l’atto di classamento conteneva unicamente gli elementi posti a base del criterio di accertamento censuario (in particolare l’indicazione della categoria, della classe, della consistenza e della rendita catastale) e che la motivazione delle ragioni sia stata fornita solo in sede giudiziale.
Per la Corte ha dunque sbagliato la CTR ritenendo ammissibile l’integrazione della motivazione dell’atto impugnato in sede processuale (cfr. Cass. n. 25450 del 2018).