La Sentenza 23 gennaio 2020, n. 1468 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Ceniccola) affronta la questione l’omessa fatturazione della prestazione di servizi derivanti da un contratto di appalto, relativamente al ricorso dell’Agenzia delle Entrate (respinto con condanna alle spese) contro una sentenza di appello che aveva deciso a favore della società contribuente. Quest’ultima aveva correttamente rilevato un ricavo ai fini economici ed un credito ai fini patrimoniali, secondo la tecnica della contabilizzazione che sovrintende al completamento di una prestazione di servizi senza emissione di fattura.
Secondo la tesi dell’Agenzia in tema di prestazione di servizi il momento del pagamento del corrispettivo non può essere “sine die” ma deve risultare da accordi contrattuali, in assenza dei quali trova applicazione l’art. 1665 cod. civ. che, in tema di appalto, stabilisce che l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo nel momento in cui l’opera viene accettata dal committente Quindi, non risultando che nel caso concreto le parti avessero sollevato eccezioni sulla qualità e completezza delle prestazioni terminate nell’anno 2004, entro tale anno il corrispettivo doveva essere pagato ed emessa la fattura.
Secondo i Giudici di Legittimità invece, come correttamente rimarcato da Cass. n. 13209/2009 <<le prestazioni di servizi sono soggette all’ IVA, ai sensi del terzo comma dell’art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, soltanto se rese verso corrispettivo, e si considerano effettuate all’atto del relativo pagamento, cosicché prima di tale momento non sussiste alcun obbligo (ma solo la facoltà) di emettere fattura o di pagare l’imposta. Ne consegue che la pretesa fiscale relativa ad una prestazione di servizi non può prescindere, in mancanza di fatturazione o autofatturazione spontanea, dall’accertamento che il pagamento del corrispettivo sia stato effettuato, non essendo sufficiente la dimostrazione della sussistenza materiale della prestazione>>.
Nello stesso senso si è pronunciata Cass. 21870/2018, secondo cui <<in tema di IVA, l’art. 6, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, disponendo che le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, pone una presunzione assoluta di corrispondenza tra la data della sua percezione e la data di esecuzione della prestazione, cui il corrispettivo si riferisce: ne deriva che, ogni qual volta si debba individuare quando una determinata prestazione di servizi è stata effettuata, non rileva accertare la data nella quale storicamente la medesima sia stata eseguita, bensì (salvo il caso di precedente emissione di fattura) quella di percezione del relativo corrispettivo>>.
La sentenza impugnata, escludendo l’obbligo di fatturazione in assenza della prova del pagamento del corrispettivo, ha fatto dunque per la Corte corretta applicazione di tali principi; né in contrario può rilevare il richiamo all’art. 1665, ult. co., cod. civ. (che in tema di appalto prevede l’insorgenza del diritto dell’appaltatore al pagamento quando l’opera è stata accettata dal committente), in quanto la circostanza che in capo all’appaltatore sia insorto il diritto al pagamento non implica affatto che l’esborso del corrispettivo sia anche concretamente avvenuto.