La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella corposa sentenza 29 settembre 2020 n. 20579 (Pres. Manzon, Rel. Triscari) decide su alcuni ricorsi riuniti evidenziando, tra l’altro, alcune questioni di connessione tra il giudizio tributario e le risultanze del processo penale parallelo in tema di operazioni inesistenti.
Nello specifico il ricorrente aveva prospettato il verificarsi, in data successiva al deposito della sentenza censurata, la circostanza che, relativamente alla questione della deducibilità dei costi in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, fosse intervenuta la sentenza del giudice penale con la quale il rappresentante legale della ricorrente è stato assolto dal reato di utilizzo di elementi passivi fittizi al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto anche relativamente alla fatture oggetto di contestazione.
La Corte ricorda che, ai sensi dell’art.14, comma 4 bis, legge 24 dicembre 1993, n. 537, «Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi».
Pertanto, in ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, se, da un lato, non è consentita la deducibilità dei costi sostenuti, d’altro lato, può assumere rilevanza l’intervenuta pronuncia, in sede penale, che esclude la sussistenza dei fatti di reato dai quali è derivata la prospettazione della non deducibilità dei costi.
Si tratta, pertanto, di una questione che incide sulla stessa non deducibilità dei costi, profilo che sta a monte dell’eventuale diritto al rimborso delle maggiore imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione.
È, dunque, necessario che il giudice del merito accerti se la condotta oggetto di esame in sede di giudizio penale sia riferibile a quella oggetto di contestazione nel presente giudizio.
Con un successivo motivo connesso il ricorrente aveva contestato la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma secondo, cod. proc. civ., dell’art. 118, disp. att., cod. proc. civ., e dell’art. 36, comma secondo, nn. 2) e 4), decreto legislativo n. 546/1992, in quanto mancante, con specifico riferimento alla verifica della natura oggettivamente inesistente dell’operazione contestata, dell’esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti, nonché delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la motivazione, mancando una qualsivoglia considerazione e valutazione delle relative questioni, di diritto e di fatto, sottese. Il motivo viene ritenuto fondato per quanto appena detto in quanto la motivazione della CTR si era limitata a richiamare il p.v.c. senza tenere conto dell’evoluzione del giudizio penale come chiesto dal ricorrente.