Con sentenza n. 8716 del 11 maggio 2020 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Chindemi, Rel. Napolitano) torna ad esprimersi sulla questione delle competenze attribuite dall’ordinamento ai vari organi comunali in materia di determinazione delle categorie degli immobili e delle relative aliquote ai fini TARSU.
La Suprema Corte ha preliminarmente ricordato come in materia di TARSU l’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993 dispone che (comma 1, lett. a) “per l’applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere: a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria” e che (comma 2) “L’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione: a)…”.
La fonte normativa statale demanda pertanto al comune l’adozione di un regolamento che, in materia di TARSU, contenga una classificazione degli immobili per gruppi (e, eventualmente, sottogruppi) omogenei, in base alla loro attitudine a produrre rifiuti e, dunque, ad incidere sui costi del servizio; tale classificazione costituisce la base per differenziare le tariffe tra le varie categorie o sottocategorie di immobili, previste nel regolamento e presenti sul territorio comunale.
L’art. 42 del testo unico sugli enti locali (approvato con d.lgs. n. 267 del 2000), invece, con riferimento alle attribuzioni del consiglio comunale prevede che lo stesso abbia competenza limitatamente a determinati atti fondamentali, tra cui vi sono l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, con precisa esclusione della determinazione delle relative aliquote (comma 2, lett. f). Il testo unico degli enti locali ha infatti voluto precisare che al consiglio comunale, che è l’organo elettivo dell’ente locale, e dunque direttamente rappresentativo della comunità locale, spetta la definizione dei criteri generali e degli indirizzi di principio relativi alla tassazione degli immobili che si trovano sul territorio; fermo restando che la concreta determinazione dei parametri per la quantificazione dell’onere tributario spetta invece alla giunta, organo tecnico-esecutivo.
In quest’ottica, e sempre secondo quanto ricordato dalla Corte, la giunta può concretamente determinare le tariffe da applicare agli immobili sulla base della categoria alla quale essi appartengono in virtù della classificazione operata dal regolamento comunale adottato dal consiglio; ma non può motu proprio operare essa stessa tale classificazione o modificare la classificazione contenuta nel regolamento del consiglio, perché invaderebbe un campo di competenza di un altro organo, in violazione dell’ordine delle competenze stabilite per legge. Opinare diversamente e ritenere che, di fronte ad un regolamento consiliare riproduttivo della norma primaria, la giunta possa essa stessa classificare gli immobili, ai fini della successiva differenziazione del trattamento tributario degli stessi, significherebbe, di fatto, accedere ad una interpretatio abrogans delle competenze consiliari stabilite nell’art. 42.
In aggiunta la stessa Corte ha voluto precisare come l’appena richiamato profilo di giudizio relativo al rispetto dell’ordine legale delle competenze tra il consiglio e la giunta (con riferimento alla classificazione degli immobili tassabili ai fini TARSU e alla determinazione del concreto trattamento tariffario) risulti talmente consolidato da risultare impregiudicato anche dinnanzi ad una altrettanto costante affermazione nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui in tema di TARSU risulti legittima la delibera comunale che preveda una tariffa per la categoria degli esercizi alberghieri notevolmente superiore a quella applicata alle civili abitazioni (costituisce infatti un dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti propria di tali esercizi).
Nei fatti una s.a.s. operante nel settore ricettivo alberghiero con sede nel salentino impugnava la cartella di pagamento con cui il Comune di residenza aveva richiesto il pagamento della somma di euro 7.571 per TARSU relativa all’anno 2008. In particolare, la società si lamentava del fatto che, sebbene il regolamento comunale avesse accorpato nell’unica categoria “C” i locali e le aree adibiti a civile abitazione, ad attività ricettivo alberghiere, a collegi, case di vacanze e convivenze, sulla base dell’art. 68 del d.lgs. n. 507 del 1993, la giunta comunale, con propria delibera, avesse creato una ulteriore categoria, con una apposita tariffa a metro quadro di superficie occupata. Sia CTP che CTR si esprimevano accogliendo il gravame della contribuente; il comune, tuttavia, proponeva ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, respinto il ricorso, ha pertanto richiamato il già più volte espresso principio di diritto (cfr. Cass. n. 22532/2017; Cass. n. 8336/2015; Cass. n. 28675/2018) secondo cui ai fini TARSU “la giunta può concretamente determinare le tariffe da applicare agli immobili sulla base della categoria alla quale essi appartengono in virtù della classificazione operata dal regolamento comunale adottato dal consiglio; ma non può operare essa stessa tale classificazione o modificare la classificazione contenuta nel regolamento del consiglio, perché invaderebbe un campo di competenza di un altro organo, in violazione dell’ordine delle competenze stabilite per legge”.