La Corte di Giustizia UE, con la sentenza 21 febbraio 2018, C- 628/16, affronta il caso di una errata qualificazione di una operazione di vendita. La cessione in effetti era avvenuta in primis tra un operatore tedesco e un austriaco. Successivamente l’operatore austriaco aveva rivenduto la merce ad un altro operatore interno che aveva direttamente svolto il trasporto dalla Germania.
Ora, gli articoli della direttiva IVA (2006/112/CE) che vengono interpretati dalla Corte sono rispettivamente il 32 e il 138.
Ai sensi dell’articolo 32, primo comma, si ha che:
«Si considera come luogo della cessione, se il bene è spedito o trasportato dal fornitore, dall’acquirente o da un terzo, il luogo dove il bene si trova al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente».
L’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva, invece, così dispone:
«Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nell’[Unione europea], dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni».
Per la Corte, in circostanze come quelle del procedimento principale, l’articolo 32, primo comma, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, dev’essere interpretato nel senso che esso si applica alla seconda di due cessioni successive di un medesimo bene che hanno dato luogo ad un unico trasporto intracomunitario.
Invece nel caso specifico il venditore austriaco aveva fatturato con IVA e l’ultimo acquirente l’aveva corrisposta, vantando con ciò il diritto (almeno a proprio giudizio) di portarla in detrazione.
Ma la Corte è di avviso contrario. Essa afferma infatti che qualora la seconda cessione di una catena di due successive cessioni, comportanti un unico trasporto intracomunitario, costituisca una cessione intracomunitaria, il principio di tutela del legittimo affidamento dev’essere interpretato nel senso che l’acquirente finale, che si è avvalso a torto di un diritto a detrazione dell’imposta sul valore aggiunto a monte, non può detrarre a titolo di imposta sul valore aggiunto a monte, l’imposta sul valore aggiunto versata al fornitore sulla sola base delle fatture trasmesse dall’operatore intermedio che ha conferito alla sua cessione un’erronea qualificazione.
Quindi?
L’unica risposta che si può trarre è che detta imposta potrà essere richiesta al fornitore che l’ha erroneamente addebitata.
Al punto 48 si parla infatti di “rimborso”. Ma non di rimborso allo Stato che ha incassato un’iva non dovuta per errore degli operatori. Letteralmente chi ha erroneamente pagato: “può chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente versata all’operatore che ha emesso una fattura erronea, conformemente al diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C-564/15, EU:C:2017:302, punto 49 e la giurisprudenza ivi citata).
Ma alla fine lo Stato che ha percepito un’IVA interna erronea su una operazione INTRA la dovrà restituire? La sentenza non lo dice, lasciando qualche dubbio in ordine alle garanzie di neutralità del tributo.