Preclusione ex art. 32 quarto comma del DPR 600/73. Ratio e conseguenze

Interpretazione molto rigorosa e formale della preclusione di cui all’articolo 32 quarto comma del DPR 600/73 quella operata dalla sentenza 23 marzo 2016 n. 5734 della Corte di Cassazione.

Il principio enunciato è quello per cui in tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del DPR 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati, notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire, a definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all’art. 32, quinto comma, del DPR 29 settembre, n. 600.

Invero, prosegue la Corte, il contribuente può avvalersi della deroga prevista ai sensi dell’art. 32, quinto comma, del DPR n. 600/1973, solamente depositando in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio, e dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.

Ci permettiamo di suggerire a chi sia interessato la lettura di una recente sentenza della V Sezione di taglio molto più ricco ed articolato nelle argomentazioni. E, sotto diversi aspetti (inclusi i richiami alla giurisprudenza della Corte Costituzionale sul punto), più convincente. Nella quale le preclusioni, se esistenti, risiedono da ambo le parti del rapporto pre-processuale e processuale. Ovvero dal lato del contribuente e da quello dell’amministrazione.

Si tratta della Sentenza n. 9974 del 15 maggio 2015 nella quale la Corte si esprime come segue:

“La   giurisprudenza   di   legittimità   afferma   che   tale   meccanismo conoscitivo e preclusivo mira  al  dialogo  tra  fisco  e  contribuente  per favorire  la definizione delle reciproche posizioni (Sez.  5,  Sentenza   n. 453 del 10/01/2013,  Rv.  624728),  sì  da  prevenire  l’instaurazione   del contenzioso  giudiziario  (Sez.  5,  Sentenza  n.   28049   del  30/12/2009, in motiv.), attesi quei canoni di lealtà,  correttezza   e   collaborazione, da   ritenersi  doverosi   “…quando   siano   in   gioco    obblighi    di solidarietà come quello in materia tributaria”   (Corte   cost.   351/2000).

Perciò, il legislatore sanziona  l’omissione  del   contribuente    che   si sottrae    alla    dialettica     documentale     con     l’amministrazione, comminando il divieto di allegazione  di  dati   e   documenti  non  forniti nella sede precontenziosa.  Si  tratta  di  divieto   ritenuto  dalla  Corte costituzionale tale da non menomare il principio  di  capacità  contributiva (ordinanza 181/2007), mentre  la  “ratio”   della  preclusione  è  rinvenuto nell’ostacolo  frapposto   dalla   condotta    omissiva   del   contribuente all’immediata esecuzione di un accertamento  analitico  (Sez.  5,   Sentenza n. 20461 del 06/10/2011,  in  motiv.).

  Però,   il    meccanismo    preclusivo,   per   la    grave    conseguenza dell’inutilizzabilità   amministrativa   e   processuale   di     dati     e documenti  tardivamente prodotti, comporta che non  sia  soltanto  la  parte privata  a  dover collaborare, dovendo anche  quella  pubblica  adeguare  la propria  condotta  a  quel  canone  di   lealtà   che,   richiamato    dalla giurisprudenza costituzionale, è codificato nel caso in esame   dall’obbligo di    avvertimento    riguardo    alle    conseguenze   dell’inottemperanza, fissato dal nucleo normativo dell’art.  32  cit.   (Sez.  5,  453/2013,  cit.)  – Si  tratta  del   medesimo   principio   di lealtà,  poi  sfociato   negli  articoli  6   e   10   dello   Statuto   del contribuente    (“i    rapporti   tra   contribuente   e     amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della  buona fede”,  ivi  compreso  l’obbligo   dell’amministrazione   “…di   informare il  contribuente  di  ogni  fatto  o  circostanza  a   sua   conoscenza  dai quali possa derivare il mancato  riconoscimento   di   un   credito   ovvero l’irrogazione di una sanzione”), che  sono  idonei  a  fornire  un  decisivo indicatore ermeneutico”.