L’ordinanza 2 febbraio 2018 n. 2662 della sesta sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Napolitano) pone un vincolo temporale netto sulla presunzione per cui gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti all’estero negli Stati a fiscalità privilegiata e non dichiarati si presumono derivanti da redditi sottratti a tassazione.
La norma che ha introdotto tale presunzione è l’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, in vigore dal 1° luglio 2009, convertito con modificazioni dalla 1. 3 agosto 2009, n. 102.
Ebbene, diversamente da quanto argomenta la ricorrente Agenzia delle Entrate, secondo cui la disposizione in oggetto ha natura procedimentale e che, come tale, è soggetta al principio tempus regit actum, trovando applicazione anche riguardo alle somme detenute all’estero in violazione dei suddetti obblighi dichiarativi negli anni precedenti l’entrata in vigore dello stesso decreto legge n. 78/2009, la Corte ritiene che essa si applichi solo dal 2009 in quanto la norma non può considerarsi retroattiva.
Per i Giudici le sentenze che hanno consentito (come è il caso concreto di cui si tratta) l’utilizzabilità negli accertamenti della cosiddetta “lista Falciani” hanno tuttavia posto l’accento sul fatto che tale principio di diritto, quanto agli effetti, vada direttamente e necessariamente correlato sia agli obblighi dichiarativi che alle presunzioni di redditività stabiliti dalla 1. n. 167/1990 nel testo vigente ratione temporis, a carico del contribuente per i trasferimenti di denaro ed altri valori verso l’estero.
Il vincolo posto nell’utilizzabilità degli indizi predetti, inoltre, è suffragato dal fatto che la novità del d.l. n. 78/2009 pone, in favore del fisco, una più favorevole presunzione legale relativa rispetto al quadro normativo previgente, e si manifesta in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae, che vede abitualmente le norme in tema di presunzioni collocate nel codice civile e dunque di diritto sostanziale e non già nel codice di rito. Infine la retroattività della disposizione porrebbe il contribuente in condizione di sfavore, anche solo per non aver conservato della documentazione che nella previgente normativa non era importante, pregiudicandone l’effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost.