Ravvedimento operoso come istituto di definizione agevolata: ma è proprio così?

La sentenza della Corte di Cassazione 30 marzo 2016 n. 6108 nega ad un contribuente che ottenga la eliminazione delle sanzioni su un versamento d’imposta per obiettiva incertezza, la possibilità di richiedere indietro ciò che prudenzialmente, a titolo sanzionatorio, aveva versato con l’istituto del ravvedimento.

Secondo la Corte infatti “Una volta che si sia perfezionata la fattispecie di ravvedimento operoso è precluso al contribuente, analogamente a quanto affermato da questa Corte con riferimento alle ipotesi di definizione agevolata cui questi abbia spontaneamente aderito (ex multis Cass. ss.uu. n. 14828/2008 e Cass. n. 4566/2015, Cass. n. 1967/2012), la ripetizione di quanto versato, con conseguente inammissibilità della relativa istanza, salvo il caso di errori formali essenziali e riconoscibili. Il ravvedimento operoso, infatti, implicando riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della relativa sanzione, è incompatibile con la successiva istanza di rimborso della sanzione versata, in quanto detta istanza si pone in insanabile contraddizione con la scelta spontaneamente effettuata dallo stesso contribuente”.

Questo inquadramento del ravvedimento di cui all’articolo 13 del D.Lgs. 472/97 tra gli istituti di definizione agevolata non è però del tutto convincente. Non parla di definizione la norma. Non sono pertinenti le sentenze richiamate, riferite ad ipotesi di condono o di istituti deflattivi vari, ma non di ravvedimento. Non è neppure in linea con altri orientamenti della Suprema Corte: in tema di ravvedimento infatti uno sbaglio fa scattare la sanzione piena come è noto e come è stato anche recentemente ribadito dalla VI Sezione (cfr. tra le tante, Ordinanza n. 19017 del 24 settembre 2015). Se vi fosse stata una definizione forse tale conclusione sarebbe almeno discutibile.

1 aprile 2016