Reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate: le soglie di punibilità previste dall’art 10 bis sono elemento costitutivo di natura oggettiva del reato e non mera condizione di punibilità.

Con sentenza n. 9963 del 13 marzo 2020 la Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione (Pres. Lapalorcia, Rel. Di Nicola) fornisce alcune rilevanti precisazioni in merito alle fattispecie delle ipotesi di reato in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto previste dal D.lgs. 10 marzo 2000 n. 74.

L’art. 10 bis (del citato Decreto) riguardante l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate prevede la reclusione da due a sei anni per “chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta”. Secondo l’interpretazione della Corte la soglia di punibilità, poiché esplicitamente prevista (ciò vale per l’articolo citato e contestualmente per le fattispecie analoghe che condividono la stessa struttura), rientra giocoforza tra gli elementi costitutivi del reato e non tra le condizioni obiettive di punibilità assumendo al tempo stesso il ruolo di “requisito essenziale di tipicità del fatto”. Peraltro, come osservato dalla Corte, la stessa relazione di accompagnamento al D.Lgs n. 74 del 10 marzo 2000 afferma testualmente che le soglie di punibilità previste “sono da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato”.

La soglia di punibilità si traduce pertanto e concretamente nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico, con la conseguenza che alla mancata integrazione della soglia corrisponde la convinzione del legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una sensibilità penalistica del fatto; dunque, in estrema sintesi, il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato (nel caso in esame la salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi).

In aggiunta la soglia di punibilità, in quanto elemento costitutivo del fatto di reato, rientra nel cosiddetto “fuoco del dolo”, prova del quale è insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale o da quanto risulta dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti poiché è da tali atti che emerge l’importo dovuto a titolo sostituto di imposta (che deve essere versato entro il termine di legge previsto o che deve essere almeno contenuto non oltre la soglia prevista). Da ciò consegue che, sia nel caso in cui contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia, sia nel caso in cui la soglia di punibilità sia stata elevata a seguito dello ‘ius superveniens’, la formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’articolo 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000, è quella corrispondente all’insussistenza del fatto (di reato). Già a suo tempo difatti le Sezioni Unite penali hanno affermato che qualora manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula «il fatto non sussiste» e non con quella «il fatto non è previsto dalla legge come reato», che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011).

Nei fatti l’amministratore delegato di una società operante nel settore della produzione e del montaggio di ruote per biciclette ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia la quale, confermando quanto disposto dal Tribunale di Bergamo, lo aveva condannato alla pena di mesi 10 di reclusione per il reato di cui all’articolo 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 in virtù del fatto che egli aveva omesso di versare le ritenute operate alla fonte sugli emolumenti corrisposti nell’anno di imposta 2008 per un ammontare complessivo di 132.374,00 euro. Nei motivi del ricorso la parte ricorrente lamentava come in forza al decreto legislativo del 24 settembre 2015 n. 158 la soglia di punibilità del reato di omesso versamento di ritenute certificate fosse passata da 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta con la diretta conseguenza che il fatto contestato non costituisse ipotesi di reato.

Il Giudice Supremo ha pertanto accolto il ricorso, rilevando come per la fattispecie contestata in seguito al citato intervento normativo del 2015 il comportamento del contribuente risultasse sotto soglia, e contestualmente ribadito il principio di diritto secondo il quale “in tema di sentenza di assoluzione dell’imputato per il reato di cui all’articolo 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000, per mancato raggiungimento della soglia di punibilità individuata dalla norma – nel frattempo elevata a seguito del D.Lgs. n. 158 del 2015 – va deliberata la formula “perché il fatto non sussiste” e non quella “perché il fatto non è previsto come reato”, versandosi in una ipotesi di mancanza di un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato”.