Reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate: raccordo tra la vecchia e la nuova normativa.

 

Il nuovo articolo 10 bis del D.Lgs 74/2000 recita testualmente: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque  non  versa entro il termine previsto per la presentazione della  dichiarazione  annuale di  sostituto  di  imposta  ritenute  dovute   sulla   base   della   stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione  rilasciata  ai  sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila  euro  per  ciascun  periodo d’imposta”.

Il testo è quello risultante dopo le modifiche apportate dall’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

La precedente norma prevedeva infatti che: “E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque  non  versa entro il termine previsto per la presentazione della  dichiarazione  annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione  rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro  per  ciascun periodo d’imposta”.

La Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza 26 febbraio 2016, n. 7884 compie due operazioni interpretative interessanti.

La prima attiene alla corretta identificazione degli elementi soggettivi alla base del reato previsto dalla norma pre-riforma. In tale contesto analizza le ragioni del sostituto d’imposta che, in relazione all’elemento costitutivo del reato ex art. 10 bis D.lvo 74/2000, lamentava che il giudice di appello avesse trascurato il fatto che l’elemento specializzante per la natura delittuosa della fattispecie sarebbe stato costituito dal rilascio della certificazione al sostituto. Nel caso specifico infatti l’unico fatto valorizzato era stata la presentazione del modello 770, la quale da sola, seppur idonea a fornire la prova del mancato versamento delle ritenute operate, non sarebbe comunque stata in grado di escludere il ragionevole dubbio che le certificazioni non fossero mai state rilasciate.

Tale motivo secondo la Corte è fondato. Data la lettera del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, occorre infatti valutare se indizio sufficiente (grave, preciso e concordante) per la configurabilità del reato possa esser ritenuta la sola presentazione, da parte del datore di lavoro, del modello 770.

Si riscontrano al riguardo due indirizzi contrapposti.

Secondo il primo, il delitto è integrato da una condotta omissiva che si realizza con il mancato versamento – entro il termine di legge – delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d’imposta. Si tratterebbe, quindi, di un reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta, che si perfeziona con il mancato compimento di un’azione dovuta (non tacere quod debetur).

Secondo un diverso indirizzo, invece, la prova dell’elemento costitutivo rappresentato dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti, il cui onere incombe sull’accusa, non può essere costituita dal solo contenuto della dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro.

La Corte aderisce a questa seconda interpretazione poiché, si precisa, il delitto in esame presenta una componente omissiva (il mancato versamento nel termine delle ritenute effettuate) ed una precedente componente commissiva, consistente a sua volta in due distinte condotte: a) il versamento della retribuzione con l’effettuazione delle ritenute; b) il rilascio ai sostituiti delle certificazioni, prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta. Trattandosi di elementi costitutivi del reato, è dunque onere dell’accusa fornire la prova della loro sussistenza.

Tornando alla seconda questione, ovvero al raccordo tra vecchia e nuova normativa, i Giudici precisano che a seguito del Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, il suddetto articolo 10 bis è stato modificato (eliminando l’inciso “ritenute risultanti dalia certificazione rilasciata ai sostituiti”), in modo da non richiedere più la prova della certificazione. Tuttavia, essendo norma più sfavorevole, essa è soggetta al principio tempus regit actum e non può applicarsi alla fattispecie.