La Corte di Cassazione con la sentenza 27 aprile 2016 n. 8334 sposa l’orientamento largamente prevalente (ad onta della prassi contraria seguita sovente dagli Uffici negli accertamenti) riguardo la responsabilità del liquidatore ex art. 36 del DOR 602/73.
E cioè quella per cui tale norma individua una responsabilità sussidiaria, in quanto essa è invocabile solo a condizione che i tributi a carico della società siano stati iscritti a ruolo e che sia acquisita certezza legale che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione medesima. Incombe, pertanto, al liquidatore, per contestare la pretesa fiscale, l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti del debito (quali la mancanza di attività nel patrimonio sociale) ovvero l’incertezza del debito stesso, mentre l’Amministrazione, in costanza di giudizi proposti dalla società in liquidazione avverso gli accertamenti, deve comunque provare di avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali può pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore, alle condizioni previste dall’art. 15 del citato decreto.
Secondo la Corte è errata la sentenza della CTR impugnata: infatti il giudice di appello ha ritenuto la sussidiaria responsabilità del ricorrente sulla base del fatto che costui era liquidatore quando è stato incassato un indennizzo non dichiarato, ritenendo irrilevante verificare se il ricorrente avesse mantenuto tale qualifica al momento in cui si sono verificati i presupposti di imposta, ossia chiusura del bilancio e dichiarazione dei redditi.
Il liquidatore invece, secondo la Cassazione, può ritenersi sussidiariamente responsabile non tanto se era in carica quando la società ha incassato la somma, quanto se era in carica quando il bilancio si è chiuso, con iscrizione dunque dell’incasso, e quando è stata fatta la dichiarazione dei redditi. E ciò in ragione del fatto che nel momento della dichiarazione e della iscrizione in bilancio che si verifica la condotta eventualmente omissiva, o di occultamento della somma, e non quando questa viene incassata. E alla sola condizione che tale debito fosse certo al momento della chiusura della liquidazione.
Ricordiamo anche, incidentalmente, che l’art. 36 si applica, nella gran parte degli accertamenti oggi emessi e fino alla riforma del 2014, per espressa previsione dell’art. 19 del D.Lgs 46/1999, solo alle imposte sui redditi.
Non era e non è quindi legittimo pertanto, per liquidazioni chiuse prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014, cioè del 13 dicembre 2014, farlo valere per imposte come l’IVA (malgrado gli Uffici spesso lo facciano) o per l’IRAP che non è un’imposta sui redditi come ha ampiamente affermato la celeberrima sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale.