La sentenza 4 luglio 2019 n. 17963 della Sezione Tributaria (Pres. Cirillo, Rel. Condello) si occupa di una vicenda nella quale il punto saliente era il fatto che che il ricorso in appello notificato all’Agenzia delle Entrate fosse privo della sottoscrizione del legale rappresentante della società e dei difensori e che la procura non risultasse firmata dal rappresentante legale. Tuttavia l’originale il ricorso in appello depositato presso la Cancelleria della Commissione tributaria regionale risultava regolarmente sottoscritto.
In appello l’eccezione di inammissibilità preliminare dell’Agenzia delle Entrate sul punto era stata accolta dalla CTR.
Intrdotto il ricorso per cassazione della contribuente, l’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, richiamando l’art. 18, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 546/1992, ratione temporis vigente, oltre a ribadire che l’atto di impugnazione ad essa notificato non può ritenersi validamente proposto perché manca la sottoscrizione dei difensori, non contiene l’indicazione dell’incarico, a norma dell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, e neppure reca la firma del legale rappresentante della società, ha sottolineato che la sottoscrizione delle copie del ricorso depositate presso la Commissione tributaria regionale è di per sé irrilevante ed inidonea a sanare l’inammissibilità del ricorso.
La Sezione Tributaria ritiene invec che le previsioni di inammissibilità, proprio per il rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l’operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo (extrema ratio) è davvero giustificato, dovendosi tenere presente l’insegnamento fornito dalla Corte Costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della <<tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità>> (sentenze Corte Costituzionale n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002). Sul punto, la stessa Cassazione ha precisato che << la chiave di volta dell’intero regime delle inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio tributario va individuato nel quinto comma dell’art. 22 del d.lgs. n. 546/1992 (secondo cui <<ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l’esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi»), il quale stabilisce una sorta di possibile causa di esclusione della sanzione dell’inammissibilità quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell’atto e l’osservanza delle regole processuali fondamentali>>.
Su queste basi secondo i Giudici di Legittimità non si può far discendere l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dalla eventuale irregolarità che abbia avuto ad oggetto tale procedura, e, in ipotesi, sia consistita nel rovesciamento dell’ordine procedimentale fissato dalla legge, con la consegna della copia (anziché dell’originale) all’Ufficio ed il deposito dell’originale (anziché della copia conforme) presso l’organo giurisdizionale (Cass. n. 10282 del 2 maggio 2013).
La mancanza di sottoscrizione sanzionabile con l’inammissibilità del ricorso va, dunque, intesa come mancanza materiale del requisito imposto dalla legge, e non già quando essa risulti presente per relationem attraverso il rinvio implicito della fotocopia all’atto originale e questa conformità non sia stata contestata o, se anche lo sia stata, essa è comunque infondata.