Abbiamo letto sulla stampa dei riferimenti all’ordinanza 25 marzo 2019, n. 8334 della VI Sezione della Cassazione (Pres. Greco, Rel. Dell’Orfano) nei quali si sottolineava il fatto che la riforma delle sanzioni tributarie operata dal d.lgs. n. 158 del 2015 non fosse un presupposto per applicare il principio del favor rei, in quanto principio non generalizzabile e non sempre valido in tema di sanzioni tributarie.
La nostra perplessità sul punto riteniamo sia la stessa di tutti coloro i quali ritengono invece tale principio, in base al quale se la legge in vigore al momento della violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni diverse (o prevedono che la fattispecie non è più punibile) si applica la norma più favorevole, risieda nella legge. Ed che si tratti di un principio di portata generale, essendo fissato dall’articolo 3, del Dlgs 472/1997.
Ricordiamo anche che la stessa Agenzia delle Entrate ne parla diffusamente, proprio in relazione all’entrata in vigore della riforma del 2015, nella Circolare del 04/03/2016 n. 4 della Direzione Centrale Accertamento. La circolare, con particolare riguardo al comma 3 dell’articolo 3 del Dlgs 472/1997 precisa che il principio del favor rei trova applicazione sia per le violazioni commesse a partire dal 1° gennaio 2016, sia per quelle commesse in precedenza.
Allora cosa ha detto effettivamente la Corte nell’ordinanza citata?
Riportiamo il passaggio della motivazione che ha evidentemente causato qualche difficoltà di lettura, nel quale si afferma “deve pertanto farsi applicazione del principio, qui condiviso espresso, dalla Corte, con principio (cfr. Cass. nn. 9505 del 12/04/2017, n. 28061 del 24/11/2017), secondo cui le modifiche apportate dal d.lgs. n. 158 del 2015, in tema di sanzioni tributarie, non operano in maniera generalizzata in “favor rei”, rendendo la sanzione irrogata illegale, dovendosi conseguentemente escludere che la mera deduzione, in sede di legittimità, di uno “ius superveniens” più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, imponga la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, non solo in ragione della necessaria specificità dei motivi di ricorso ma, soprattutto, per il principio costituzionale di ragionevole durata del processo”
La questione poggia su una frase, ovvero “senza altra precisazione con riferimento al caso concreto”. In effetti come riporta ancora la motivazione, la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha fornito alcuna indicazione relativa alle sanzioni comminate nell’accertamento o riferimenti agli atti di causa al fine di evidenziare la misura della sanzione applicata e di quella asseritamente più mite prevista dalla nuova normativa.
Quindi si tratta di un problema procedimentale e non dell’affermazione di un principio diverso e contrario rispetto al favor rei.
Le due massime del 2017 richiamate nell’ordinanza sono ancora più chiare ed affermano che la mera deduzione, in sede di legittimità, dello ius superveniens, senza specifiche allegazioni riferite al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione entro la cornice edittale, non impone affatto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. Occorre in altri termini che la parte interessata svolga specifiche deduzioni riguardo all’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella irrogata nell’atto, con precisi riferimenti numerici e normativi.