La sentenza n. 6658 della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione depositata il 13 febbraio 2017 si pronuncia a favore del provvedimento di sequestro preventivo per equivalente sui beni di un Trust, richiamando la sentenza 9229/2016 della III Sezione Penale per la quale si è reputato “irrilevante che l’indagato abbia costituito un trust se tale strumento, di per sé lecito, sia stato utilizzato al fine di sottrarre i beni alla confisca (vedasi anche le sez. 5, n. 13276/2011 e sez. 2, n. 25520/2012)”.
In effetti qualche elemento, nel caso specifico, fa propendere per la strumentalità del Trust per fini non degni di tutela: esso risulta essere stato costituito nel 2009, con nomina a trustee dello stesso imputato cui venivano conferiti pieni poteri gestionali. Di conseguenza, pur avendo egli trasferito al trust la proprietà dei beni, aveva continuato a disporne come dominus, a prescindere dal dato formale della spoliazione, sicché non si era verificata una reale uscita del patrimonio dalla sua orbita di interesse, pur essendosi realizzato quel meccanismo di segregazione consentito dalla causa astratta del negozio di sottrarre i beni all’azione dei creditori del settlor e del trustee.
Peraltro il periodo di commissione dell’attività illecita contestata (associazione per delinquere e plurime ipotesi di reati tributari come risulta dal capo d’imputazione) risale all’anno 2006 e, come rilevato dal PM nel ricorso e risultante dalle indagini delle Guardia di Finanza, l’imputato è stato particolarmente attivo come trustee tra il 2009 e il 2011 acquisendo altri sei immobili “con provviste tratte da un conto corrente del trust, sul quale in tre anni (tra il settembre 2010 e il giugno 2013)” erano confluiti “oltre un milione di euro di cui 800.000,00 versati in contanti tutti provento della condotta in ordine alla quale è indagato”.
Altri ed ulteriori elementi fattuali, considerati rilevanti dai Giudici, invece, forse non convincono del tutto. Il fatto che come beneficiarie dirette del reddito del trust risultino nominate le figlie del disponente e, quali beneficiari finali, gli eredi delle stesse, e che il trust e stato costituito dal disponente con un atto unilaterale non recettizio sono elementi valorizzati dalla Corte a supporto delle conclusioni. Elementi che tuttavia, isolati dal contesto più ampio di cui sopra, appaiono non determinanti né significativi.
Ancora sembra sia necessaria altra elaborazione giurisprudenziale in tema di Trust. Bene contrastare gli intenti palesemente artefatti dell’istituto, ma occorrerebbe forse farlo su basi rigorose e una volta per tutte ben precisate.