Spese di lite e “soccombenza reciproca”: la Cassazione boccia una singolare interpretazione del giudice di appello.

L’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”, costituisce una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche.

Tra le ipotesi può rientrare anche l’oggettiva opinabilità delle questioni affrontate o l’oscillante soluzione ad esse data in giurisprudenza. Ciò in quanto sia sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente, ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e, quindi, da valutare con riferimento al momento in cui la lite è stata introdotta o è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese, sempre che si tratti di questioni sulle quali si sia determinata effettivamente la soccombenza, ossia di questioni decise

Con questa premessa e citando un autorevole precedente (Cass. sez. un. ord. n. 2883/14) la sezione filtro della Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 20261 depositata il 22 agosto scorso, cassa un sentenza della CTR di Roma la quale aveva accolto l’appello del contribuente compensando le spese in quanto le due parti risultavano soccombenti alternativamente nei due gradi di giudizio e definendo tale situazione di fatto come “soccombenza reciproca, nei due gradi di giudizio”.

 Ovviamente la Corte ricorda che la soccombenza reciproca è certamente un motivo per compensare le spese ma va valutata all’interno dello stesso grado di giudizio.