Con ordinanza n. 8540 del 6 maggio 2020 la Sezione Filtro della Corte di Cassazione (Pres. Greco, Rel. Luciotti) torna ad esprimersi sulla questione della deducibilità delle spese di pubblicità sostenute in favore di associazioni sportive dilettantistiche, in maniera conforme rispetto ad altre massime recenti già trattate.
Come preliminarmente ricordato dalla Corte la normativa di riferimento è individuabile nell’art. 90, comma 8, della legge n. 289 del 2000, col quale viene disposto che “Il corrispettivo in denaro o in natura in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche e fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuta dalle Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva costituisce, per il soggetto erogante, fino ad un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro, spesa di pubblicità, volta alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante mediante una specifica attività del beneficiario, ai sensi dell’articolo 74 (oggi art. 108), comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi”.
La citata disposizione ha introdotto in favore del solo “soggetto erogante” il corrispettivo (e non, invece, a favore ad esempio dell’associazione sportiva che riceve l’erogazione di denaro) una presunzione legale assoluta circa la natura pubblicitaria di tali spese. Secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale in virtù di tale presunzione la deducibilità di tali spese (nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi) opera, e senza che in tal senso rilevino requisiti ulteriori, quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: il soggetto sponsorizzato è una compagine sportiva dilettantistica; è rispettato il limite quantitativo di spesa; la sponsorizzazione mira a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; il soggetto sponsorizzato ha effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale.
Diversamente, ma non è risultato questo il caso di specie, detta presunzione legale non rileva nel caso di spese di rappresentanza per le quali la deducibilità rimane vincolata alla rispondenza ai requisiti di inerenza e congruità anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica dell’impresa e dell’attività internazionale dell’impresa.
Nei fatti una s.r.l. attiva nella fornitura di carrozzerie complete per macchine da caffè in acciaio impugnava un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate ai fini IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno d’imposta 2008 a seguito del disconoscimento per difetto di inerenza con l’attività di impresa (e non anche per l’effettività) delle spese di sponsorizzazione sostenute dalla stessa società contribuente (all’epoca ditta individuale) in favore di una associazione sportiva dilettantistica. La CTP accoglieva le doglianze della società, mentre la CTR Toscana si esprimeva in favore dell’Agenzia. Avverso la sentenza di appello proponeva dunque ricorso in Cassazione la contribuente lamentando appunto l’erroneo disconoscimento della deducibilità dei costi di sponsorizzazione.
Il Giudice Supremo, accolto il ricorso e riconosciuta la natura pubblicitaria delle spese di sponsorizzazione in questione, ha richiamato il già più volte espresso principio di diritto secondo cui “in tema di detrazioni fiscali, le spese di sponsorizzazione di cui all’art. 90, comma 8, della l. n. 289 del 2002, sono assistite da una “presunzione legale assoluta” circa la loro natura pubblicitaria, e non di rappresentanza a condizione che: a) il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; b) sia rispettato il limite quantitativo di spesa; c) la sponsorizzazione miri a promuovere l’immagine ed i prodotti dello sponsor; d) il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale”.