Trasformazione di società commerciale in società semplice: attenzione alle plusvalenze da destinazione a finalità estranee all’impresa dei beni aziendali.

“La trasformazione della società commerciale in società semplice, determinando un mutamento del regime reddituale dei beni sociali e la loro destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, comporta plusvalenza tassabile, ai sensi dell’art. 54, comma 1, lett. d) del d.P.R. 917/1986 vigente ratione temporis (ora artt. 85, comma 2, e 86, comma 1, lett. c) del t.u.i.r.”.

Questo il principio di diritto affermato dalla Sentenza 23 novembre 2018 n. 30228 della V sezione della Corte di Cassazione (Pres. Cirillo, Rel. Condello).

La Corte sviluppa al riguardo una lunga trattazione che parte della disciplina anteriore al provvedimento di riforma (ovvero prima dell’avvento del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in vigore dal 1° gennaio 2004)  – che disciplinava unicamente l’istituto della cd. trasformazione progressiva. Approda poi all’attuale normativa civilistica, la quale prevede la trasformazione progressiva, da società di persone in società di capitali (art. 2500-ter e 2500-quinquies cod. civ.), la trasformazione involutiva (regressiva) (arr. 2500- sexies cod. civ.), da società di capitali in società di persone, e le trasformazioni eterogenee, da società di capitali in enti associativi non societari (art. 2500-septies cod. civ.) e da enti associativi non societari in società di capitali (arr. 2500-octies cod. civ.).

Sul piano fiscale, l’art. 122 del t.u.i.r. (ora art. 170 t.u.i.r.), nel testo vigente all’epoca dei fatti in contestazione, statuisce espressamente che “la trasformazione della società non costituisce realizzo, né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze ed il valore di avviamento”. Ciò significa che la trasformazione è un’operazione fiscalmente neutra che presuppone il rispetto della continuità dei valori contabili e che non comporta, di conseguenza, l’emergere di componenti positivi o negativi del reddito d’impresa.

Ma occorre verificare se il richiamato art. 122 del t.u.i.r. (ora art. 170 t.u.i.r.) possa trovare applicazione all’ipotesi di trasformazione di una società commerciale in società semplice.

La risposta, per la Corte, è negativa. La trasformazione di una società commerciale in società semplice (cd. “de-commercializzazione” di un ente societario), ai fini delle imposte dirette e dell’I.V.A., è equiparabile ad un trasferimento a titolo oneroso, in quanto la trasformazione comporta l’assunzione di una forma giuridica diversa, non compatibile con l’esercizio di un’impresa commerciale.

Il patrimonio sociale viene così trasferito da un soggetto che per legge può conseguire solo redditi d’impresa ad un soggetto che, invece, sempre per legge, non può essere titolare di tali redditi. Va, infatti, considerato che il reddito prodotto da una società commerciale si considera reddito d’impresa, a prescindere dal fatto che sia o meno esercitata un’attività commerciale e, pertanto, tutti i beni appartenenti alla società commerciale si considerano “beni relativi all’impresa”.

La società semplice, invece, ai sensi dell’art. 2249 cod. civ., non può esercitare attività commerciale e, quindi, non può neppure essere titolare dì reddito d’impresa, con la conseguenza che i beni di una società semplice non possono essere considerati come “beni relativi all’impresa”. Quindi la trasformazione di una società commerciale in una società semplice, si determina la fuoriuscita dei beni sociali dal regime proprio dei beni afferenti la “sfera d’impresa”, risultando essi destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

Si applicano allora gli odierni artt. 85, comma 2, e 86, comma 1, lett. c del t.u.i.r. (all’epoca art. 54) e si determina dunque una plusvalenza tassabile, atteso che la trasformazione societaria realizza la destinazione dei beni “plusvalenti” a finalità estranee all’impresa, e la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale dei beni al momento della trasformazione ed il costo non ammortizzato dei medesimi beni.