La sequenza temporale fra atti non dimostra da sola l’interposizione. E’ necessario che l’accertamento provi l’uso strumentale della costruzione negoziale.

La sentenza 5 giugno 2020, n. 10561 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Pres. Sorrentino, Rel. Ceniccola) interpreta la disciplina antielusiva dell’interposizione, ai sensi dell’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 enunciando alcuni principi consolidati.

In primo luogo l’interposizione non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale. Nel caso specifico si trattava di una donazione ai figli con successiva vendita di un bene immobile. Su questo punto vengono respinte le doglianze della contribuente che invece vengono accolte con riferimento ad altri motivi di ricorso.

In particolare il terzo motivo con cui si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge, la violazione delle regole sulle prove, e la nullità della sentenza (art. 360, n. 4, cod. proc. civ.), avendo la CTR imputato in via presuntiva alla ricorrente un reddito senza indicare le presunzioni che ha utilizzato, né i fatti certi sui quali le presunzioni sono fondate, essendo nel caso di specie venuta in rilievo semplicemente una donazione tra genitore e figli, animata dal consueto spirito di liberalità. Ed il quarto motivo lamenta l’omessa e insufficiente motivazione (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.) circa l’iter logico seguito dalla CTR, non avendo quest’ultima esplicitato il ragionamento seguito per giungere alla decisione, basandosi unicamente su affermazioni apodittiche e trascurando che la normativa vigente all’epoca dei fatti e l’acquisto di una casa da parte dei due donatari, costituiscono circostanze che consentono di escludere ogni ipotesi elusiva derivante da un uso improprio della donazione.

Per la Corte i due motivi, che vengono congiuntamente esaminati, sono fondati. La CTR ha fondato il proprio convincimento unicamente su un dato temporale, ritenendo che, poiché donazione e vendita sono avvenute nel medesimo contesto, tale circostanza sarebbe indicativa di un disegno preordinato a sottrarre all’imposizione la plusvalenza ricavata dal bene venduto, in ciò ravvisando una presunzione rilevante ai fini dall’art. 37, comma 3. Invece i Giudici di Legittimità ricordano che, in un caso sostanzialmente analogo, (v. Cass. n. 29182/17, in parte motiva) si è affermato che «L’Agenzia delle entrate (…) su cui grava l’onere di provare l’uso strumentale della donazione per evitare il pagamento dell’imposta sulla plusvalenza maturata dal donante, non ha fornito alcuna prova, non potendo ritenersi sufficiente per tale dimostrazione la semplice sequenza temporale fra i due atti (donazione-permuta), di per sé non idonea a dimostrare l’esistenza di una interposizione fittizia di persona, come tale soggetta a plusvalenza», evidenziando, inoltre, che «l’Ufficio avrebbe potuto fornire al giudice di merito ulteriori elementi (quali ad es.: il versamento di acconti al donante; la partecipazione di questi alle trattative per la permuta), idonei a far pensare all’assenza dello spirito di liberalità e alla strumentalità dell’operazione per evitare il carico fiscale della plusvalenza».

Una citazione importante è quella di Cass. n. 21952/15, che in tema di rapporti patrimoniali fra genitori e figli afferma che «il profilo della libertà della pianificazione della successione da parte dei genitori, tanto, in generale, che nulla impone al contribuente di optare, nell’espressione della propria autonomia negoziale, per la soluzione più onerosa sul piano fiscale».

Essendo nel caso specifico l’unico elemento valorizzato dalla CTR quello della successione temporale tra donazione e vendita, la Corte accoglie il ricorso della contribuente.

Da sottolineare il principio affermato dalla massima del 2015 sulla “libertà di pianificazione” della successione dei rapporti economici da genitori e figli e della libertà di scelta anche della soluzione negoziale senza che debba essere preferita quella a maggior carico fiscale. Chi scrive ha avuto modo recentemente di valutare il frazionamento del trasferimento di asset patrimoniali a un Trust del “dopo di noi”, con evidente risparmio fiscale rispetto ad un unico atto di dotazione, e questo precedente, avallato dalla sentenza in commento, costituisce senza dubbio una adeguata risposta.